Una lettera che si rifiuta di giungere a destinazione. Ventisei cani feroci nel sogno di un vecchio commilitone. Basta poco. Anche meno. E gli alti castelli della nostra routine crollano; scopriamo che sono fatti di carte. Eppure da dentro parevano così solidi. Ma ci sbagliavamo, no? Come sbagliamo pensando che la vita dipenda solo ed esclusivamente da noi. Sì, ci piace crederlo. Ci fa sentire sicuri. Al limite, possiamo dare la colpa a qualcun altro delle nostre disgrazie (mai delle nostre vittorie, però, sempre frutto del nostro ingegno e della nostra scaltrezza).Sempre colpa del destino, karma, fortuna, fato. E’ lui a servirci le carte. Cosa farne, sta a noi. Possiamo giocare al ribasso, lasciarci vivere, oppure osare, con tutto quanto ne consegue. E’ così che la morte (sempre minuscolo, per suo stesso desiderio, prego) scoprirà la vita nell’ anonima figura di un violoncellista. Il giorno dopo, non morì nessuno. E’ così che, spinto dal sogno di Boaz, Ari ricorderà un passato rimosso, una cicatrice aperta e coperta di sale sulla pelle della società civile e della coscienza individuale. Ari può permettersela, una coscienza; e per quanto lo spaventi, vuole affrontarla. Cosa ne sarà di loro? Della morte e delle sue lettere, di Ari e del suo vagare in cerca di ricordi scomodi, talmente scomodi che era più facile dimenticarli... Che ne sarà di noi, che a differenza di loro spesso non osiamo affrontare i nostri fantasmi? Preferiamo ritirirarci in noi stessi, rinculiamo nel nostro guscio per paura di perdere il poco che abbiamo, l’ illusoria sicurezza di essere qualcuno, di essere felici ed appagati. Siamo così compresi in ciò che siamo che non osiamo smettere la palandrana ed indossare abiti diversi. Quando muoviamo questo passo, lo facciamo quasi sempre mentendo a noi stessi. Dobbiamo farlo, è il nostro ruolo, ne va del nostro orgoglio, non è colpa mia, eseguiamo solo gli ordini... Non è mai così semplice abiurare sè stessi per essere qualcosa di nuovo, di più vero, per smettere la maschera del quotidiano e guardarci allo specchio. Eppure alcuni hanno la forza di farlo. La morte, che in un anonimo paesino popolato di gente anonima scoprirà che un altro modus vivendi è possibile. Ari, che scoprirà su quali fondamenta intrise di sangue poggia il suo castello di carte; sangue dei profughi di Sabra El Shatir, sangue che è anche sulle sue mani. Così come dalle scheletriche mani della morte gronda il sangue di aspirazioni represse, dell’ io assassinato a vantaggio del ruolo, delle certezze crollate quando sceglie di vivere accanto a colui che doveva eliminare, quell’ anomalia che si rifiutava di morire quando gli sarebbe toccato. Quanti di noi saprebbero, oserebbero fare ciò che hanno fatto Ari e la morte? Quanti di noi rischierebbero tutto, senza avere la certezza di poter avere di più, anzi con la quasi consapevolezza che diverranno meno di ciò che sono? Quanti di noi sanno veramente chi sono? Un valzer con Bashir. Le intermittenze di una morte inconsapevolmente insoddisfatta. Entrambi cercano, forse senza saperlo, una nuova prospettiva. Che, come sempre, capita proprio quando non te l’ aspetti. Te la trovi davanti. Cosa fare a quel punto sta a te. Nessuno ti garantisce che vivrai per sempre felice e contento. Chi lo fa è un bugiardo. Ma forse potrai guardare al tuo passato con una nuova consapevolezza, e sceso a patti coi tuoi demoni interiori, con una maggiore serenità al futuro. Ed allora forse, ma solo forse, chi non ha mai avuto bisogno di dormire scoprirà che, accanto a chi si ama, ci si può addormentare serenamente...
-La notizia del giorno: bersani è il nuovo segretario del pd. E rutelli decide di andarsene con casini. Intravedo già dei miglioramenti…
-La frase del giorno: “Su di noi, la morte conosce tutto, e forse è per questo che è triste.” (Josè Saramago)
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