lunedì 3 agosto 2009

L’ empia trinità

Delle mie perlopiù presunte capacità di scrittore non intendo parlare nè qui nè altrove; sono convinto che spetti infatti al Lettore farlo, nel bene e nel male. Quindi aspetterò che lo facciate voi, riservandomi al massimo una difesa d’ ufficio. Come lettore (senza maiuscola) mi riconosco invece tre caratteristiche: l’ essere onnivoro, l’ essere vorace, e l’ essere disilluso. Soprattutto in forza dell’ ultima non mi aspetto mai niente quando inizio a leggere o guardare qualcosa, a meno che non appartenga ad uno di quegli autori che compro e guardo a scatola chiusa. E’ anche a causa della mia disillusione che, quando mi trovo di fronte qualcosa di anche solo minimamente originale, mi abbandono spesso ad apprezzamenti financo eccessivi, e col senno di poi ingiustificati. Su una cosa però non vengo quasi mai deluso: la presenza, anche negli autori che amo, di tre costanti che dal mio modesto punto di vista ammazzano, e non poco brutalmente, la fruizione di un’ opera. Sono tre aspetti dell’ arte di narrare che trovo francamente fastidiosi e mi fanno storcere il naso non poco (ed ecco spiegato il perchè del mio sembiante arcigno e rincagnato; storci il naso oggi, storci il naso domani, considera che il naso occupa il 90% del mio volto, et voilà), e cerco di evitare come la peste quando narro una storia.
Ve li elenco di seguito; se li avvistate in qualcosa scritto da me, segnalatemelo subito.
Sono armati e pericolosi. Non cercate di avvicinarli...

-HAPPY END, AT ANY COST. Anche quando la logica suggerisce il contrario. Anche quando fino a due righe prima la situazione era disperata. Deve esserci un colpo di scena che permetta al Bene, rapprensentato perlopiù da individui a cui nella vita reale spareresti una rivoltellata in fronte, di trionfare sul Male. Che magari non verrà sconfitto del tutto (è la dura legge del sequel cui ogni autore non chiude più la porta; il declino non sai mai quando arriva), ma darà al Lettore l’ impressione che almeno nel mondo della letteratura il Bene trionfa sempre sul Male. Ma chi lo dice che il Bene sia Van Helsing ed il Male Dracula? Che Bridget Jones sia più meritevole di felicità rispetto a Daniel Cleaver? Che Carrie Bradshaw abbia diritto di coronare il suo sogno d’ amore con Mr. Big? Per carità, si tratta di finzione, quindi tutto è lecito e permesso. Ma anche nella finzione più estrema non dovrebbe mai mancare un minimo di logica e realismo. Specie se fino a trenta secondi prima mi hai detto che non c’ è più niente da fare. Saltarsene fuori all’ ultimo secondo con una soluzione abborracciata alla meno peggio per far contento il pubblico lo considero un insulto sia nei confronti dei personaggi, sia nei confronti del pubblico stesso.
Che tuttavia, abituato male, non è esente da colpe. Come mi accingo ad illustrare.

-NON HO MICA CAPITO. Spesso discorro con amici di schemi narrativi; nel corso della chiacchierata salta quasi sempre fuori una certa ritrosia nei confronti di opere dove le spiegazioni non sono chiare e comprensibili, e dove ogni dettaglio non è spiegato per filo e per segno. Immagino come mi odiano certe volte, quindi, visto che in quello che scrivo io raramente mi abbandono agli “spiegoni”, e lo faccio solo quando il caso richiede chiarimenti indispensabili. Altrimenti, di solito, dissemino gli indizi tra le righe, e lascio al Lettore il gusto di trovarli e farsi una propria idea di ciò che ha letto, e può anche essere diversa da quanto volevo comunicare io. A volte, è vero, ometto particolari importanti; conoscendo io i retroscena delle mie storie, do’ per scontato che anche il Lettore occasionale li sappia. Inserire qualche dettaglio in più non costa comunque fatica, a patto di non esagerare. Non mi interessa, come ho già detto, avere lettori- spugna che devono essere condotti per mano nel racconto, abituati piano piano al contesto, e poi rassicurati con una bella spiegazione prima dell’ “e vissero tutti felici e contenti”. Trovo molto più stimolante, per me e per chi mi legge, prenderlo per il bavero, lanciarlo in mezzo all’ azione e rifilargli un bel calcio nello stomaco prima ancora che possa rimettersi in piedi per poi abbandonarlo in mezzo alle parole a chiedersi “Perchè succede tutto questo?”. Di solito il Lettore trae maggiori soddisfazioni quando riesce a sbrogliare la matassa con le sue sole forze e capire i perchè ed i percome. Fermo restando che non sempre c’ è un perchè. E se anche c’ è, non è detto che il protagonista e quindi il Lettore arrivi a scoprirlo per intero.
Ed è questo, forse, ad inquietare maggiormente. Sempre meno comunque di quanto mi inquieta l’ ultima faccia di questa triplice, ossidata medaglia.

-AH L’ AMMORE QUESTO STRANO SENTIMENTOOOO.... “L’ amore è sopravvalutato. Biochimicamente non è diverso da una scorpacciata di cioccolato”. Se possibile, io ho un’ opinione anche peggiore di quella espressa da Al Pacino. Ma non volendo turbarvi più del necessario, mi limito a dire che odio le love story ficcate nella storia a spallate. Col protagonista figo che si innamora della protagonista figa, o peggio ancora bella ma sfortunata. Spesso artefice della propria sfortuna, ma così carina e simpatica.... No, no. Niente da fare. O l’ amore c’è già dall’ inizio della storia, oppure difficilmente potrà svilupparsi dopo duecento- trecento pagine di battibecchi, equivoci ridicoli (spiegarsi no, eh?) e ripensamenti su ripensamenti. Specie se nel frattempo hai dovuto vedertela con organizzazioni criminali, serial killer o qualche altra minaccia. E dopo aver fatto penare con infantilismi di ogni genere la controparte, al fatidico “Ti amo” pronunciato con occhi sognanti e voce languida l’ altro dovrebbe rispondere con un ceffone. O, se è un vero signore, voltandosi ed andandosene senza una parola. C’ è giusto una pasticceria dietro dove potrà abbuffarsi di cioccolato, ottenendo gli stessi risultati biochimici senza doversi trascinare in casa una persona che, chiuso il libro o partiti i titoli di cosa, probabilmente ammazzerà con una rivoltellata. Ma allo stomaco. Perchè assistere a certe agonie non ha prezzo. Altro che Mastercard.

-La notizia del giorno: Bondi fischiato alla commemorazione della strage di Bologna. Strano. Non aveva nemmeno letto una delle sue poesie...

-La frase del giorno: “Il matrimonio: una persona viene a vivere con te e non se ne va.”
(D. Luttazzi, “Satyricon” )

B. S. P.

4 commenti:

  1. Devo constatare che abbiamo lo stesso disgusto per l'happy end a ogni costo!
    ciò che maggiormente è sottovalutato nella letteratura per me è l'analisi psicologica del cattivo, la sua attitudine scintillante per il male, le zone grigie e l'interessantissima tensione che può provocare nel romanzo se lo si piazza sotto i riflettori.
    Insomma, c'è troppo buonismo.. c'è troppo profumo di rose e rossetto. Una volta tanto mi piacerebbe che anche le ragioni del cattivo fossero spiegate.
    ( devo essere cattiva per sentirmi così vicino al lato nero di ogni storia).
    Quanto all'amore..! Al Pacino ha ragione. è un bisogno che egoisticamente soddisfiamo arruolando una persona con vezzi e moine perchè ci sopporti finché non ne abbiamo lo stomaco pieno. Dopo cambiamo pietanza.

    RispondiElimina
  2. Secondo me c'è semplicemente troppa paura che,se si spiegassero per bene le ragioni del "cattivo",scopriremmo che sono più valide di quello del "buono".E questo non sia mai.L'uomo ha bisogno delle sue poche,sciocche certezze.
    Quanto all'amore...naaah,dai,non posso dirlo.

    RispondiElimina
  3. Ciao Ruvido
    un'alternativa all'happy end che fa tanto Brook che ama Ridge ma ama anche il cugino di suo figlio di quarantesimo letto è quando il cattivo viene tratteggiato come uno sfigato con una vita lacrimevole e sfigata che lo ha portato a calcare le brutte compagnie e le cattive strade per colpa del destino cinico e baro. Cioè lui, il cattivo sfigato che deve poi essere sconfitto dal buono possibilmente biondo e con gli occhi azzurri, avrebbe voluto essere buono ma la rabbia per un'infanzia diseredata non glielo ha permesso e quindi alla fine si redime di fronte alla morte e muore sereno e tranquillo.
    A chi non si è addormentato fino a questo punto va tutta la mia più sincera solidarietà.
    Per questo ho sempre apprezzato le trame dei fumetti giapponesi, perchè almeno sui finali, magari non belli e da sogno, ma coerenti con le premesse ci sanno fare molto di più di quelli contagiati dal morbo di Walt Disney.
    Se serve morbidamente mi scuso.

    RispondiElimina

I più letti