mercoledì 7 novembre 2012

Il merito del merito




Per quanto piaccia e sia facile credere (e far credere) il contrario, le cose non avvengono per caso. Maturano all’interno di contesti, situazioni, con la partecipazione di determinati personaggi che tengono certi atteggiamenti e si sviluppano seguendo determinate regole. Quando tutto questo complicato meccanismo viene ridotto ad un paio di ingranaggi, traducendosi in un “da che parte state?”, si corrono rischi pericolosi. Il primo e più evidente è quello di lasciare troppo spazio a personaggi che sopravvivono grazie al populismo ed alla demagogia, autoalimentati da un codazzo di gente, magari in buona fede, che li legittima col proprio numero (distorcendo il concetto di “democrazia”, ma questo è un altro discorso. Subito a ruota, si rischia di far passare l’idea secondo cui leggi, regolamenti e statuti sono assimilabili al “codice dei pirati” Jack Sparrow: non è che siano proprio delle leggi, sono dei suggerimenti. Che il surfista della demagogia cavalca come una tavola sull’onda dell’ignoranza della gente (nel senso che ignora). Perché stare dalla parte dei “deboli”, dei “cittadini”, degli “operai” ci fa sentire più buoni e più politicamente corretti. E, soprattutto, non costa fatica. Al contrario di un ragionamento nel merito della questione. Stavolta non mi riferisco -solo- al movimento 5 stelle, ma ad una vicenda per certi versi speculare, che sta occupando le pagine dei giornali: quella di Pomigliano, dove la Fiat è stata costretta a riassumere, dopo una sentenza della Magistratura, 19 operai iscritti alla Fiom precedentemente messi in mobilità dall’azienda. La quale ne ha messi in mobilità altri 19. “Per rappresaglia”, si sente strillare da tutte le parti. E può essere vero. Probabilmente lo è. Ma prima di stracciarsi vesti e strapparsi capelli in nome dell’ideologia, sarebbe utile spiegare qualcosa che giornali e talk show si sono ben guardati dall’approfondire: come funzionano le dinamiche per la messa in mobilità di uno o più lavoratori. Argomento che conosco abbastanza, dato il mio passato di sindacalista. Senza entrate troppo nel tecnico, la cosa funziona così:
-l’azienda che, per questioni di mercato indipendenti dalla propria volontà, si trovi nella condizione di dover dismettere delle linee produttive e/o riscontri, perciò, un esubero di personale, può fare richiesta per la messa in mobilità di un numero “X” di dipendenti. Con quale criterio questi vengono selezionati? Ne esistono, sostanzialmente, due:
- previo accordo con la rappresentanza sindacale unitaria  (rsu) eletta dai lavoratori dell’azienda, nella quale sono comprese anche le sigle sindacali che non hanno aderito ai CCNL (sebbene queste ultime non siano riconosciute né dalla controparte né, quasi sempre, dalle altre sigle sindacali e debbano quindi, nella maggior parte dei casi, condurre trattative in separata sede destinate a concludersi nel nulla)
- applicando, in caso di mancato accordo col sindacato, i criteri previsti dalla legge.
Nel primo caso, anziché andare ad un taglio indiscriminato dei lavoratori addetti alle linee interessate, si giunge solitamente ad un accordo che prevede prepensionamenti, incentivi al licenziamento e simili strumenti; ciò conviene sia all’azienda –che evita di avere scontri frontali col sindacato su questo o quel lavoratore- sia al sindacato, che ne esce normalmente con le mani pulite… E non di rado, coopera con l’azienda per convincere la gente ad andarsene.
Il secondo caso è più complesso, perché i citati “criteri di legge” sono:
-Professionalità
-Anzianità (di servizio ed anagrafica)
-Carichi familiari.
Gli ultimi due sono quelli che più spesso sentiamo sciorinare davanti alle telecamere (ho 50 anni, tengo famiglia e via frignando); il primo, che poi è quello che fa tutta la differenza, il più frainteso. Molti infatti credono che la “professionalità” sia data unicamente dall’inquadramento professionale, ma non è esattamente così. “Professionalità” è -anche- quanto si è efficienti sul posto di lavoro, volenterosi, puntuali, corretti coi colleghi ed i superiori. Il che viene scambiato, sovente, per “servilismo” e non per ciò che realmente è: fare il proprio dovere. Cosa che spesso sfugge a chi sa enumerare per sommi capi i propri (sacrosanti) “diritti”. Per “fare il proprio dovere” non è necessario rinunciare ai propri diritti, che devono esser fatti certamente valere quando è il caso, ma non devono diventare uno strapuntino dietro cui nascondersi, con la complicità di altri soggetti che da simili situazioni traggono riscontro mediatico, sdoganandosi come i protettori del popolo, dei poveri, degli innocenti e degli onesti. Eludendo però, come nel caso Pomigliano (e di molti altri), le questioni di merito: questi esuberi, ci sono? Se sì, perché? E come sono stati affrontati dall’azienda e dalla rsu? Si è arrivati ad un accordo? Se sì, perché non è stato rispettato? Se no, per quale motivo? E soprattutto: qual è l’effettiva “professionalità” dei lavoratori interessati? Sono tutte domande importanti cui i media dovrebbero sforzarsi di dare una risposta, anziché concentrarsi sulla più remunerativa, ormai vecchia diatriba “proletariato vs padrone”. Perché se il merito delle questioni viene eluso per dare spazio al metodo, significa che le regole vengono considerate poco importanti, noiose, un impaccio. E si lascia spazio a megafoni e sbandieratori per riscriverle a proprio uso e consumo. Con tutti i rischi che il popolino (ignorante nel senso che ignora) si ritroverà a correre in seguito, quando si giustificherà con un tardivo: “ma io pensavo….”. Quando invece, palesemente, non l’ha fatto.

“Ogni uomo, secondo la sua opinione, costituisce un'eccezione alle ordinarie regole della moralità.
(W. Hazlitt)

3 commenti:

  1. Ciao, premetto che non conosco nei dettagli il caso Pomigliano, se dirò cavolate fammelo pure notare.
    Il merito della questione degli esuberi non è stato affrontato perchè semplicemente non vi era nulla da affrontare.
    Cioè non è stata fatta una valutazione sulle professionalità, sulla anzianità, sui ruoli degli interessati. Sono stati considerati esuberi per il solo fatto di essere rappresentanti Fiom e con l'occasione l'azienda li ha allontanati perchè elementi indesiderati e perturbatori.
    Il giudice per questo motivo credo non abbia avuto nessun dubbio a valutare il reintegro anche in appello.
    L'eventuale accordo con le rappresentanze sindacali non c'è stato perchè semplicemente Fiat ha deciso di non riconoscere la rappresentanza Fiom, nonostante sia la numericamente più rappresentativa, facendosi forte del fatto che questi non avevano aderito alla piattaforma unilateralmente imposta da Fiat.
    L'assurdità è a monte, nel pretendere non di trattare con una rappresentanza dei lavoratori, ma riconoscendo come rappresentanti solo coloro che accettavano le condizioni. Questa situazione può solo avvitarsi. La prossima volta Fiat imporrà condizioni ancora più inaccettabili. E se questa volta fosse ad esempio uil a non accettare allora anche loro saranno disconosciuti?
    Si può andare avanti, un certo numero di lavoratori disposti a lavorare il doppio delle ore per metà della paga, se particolarmente disperati, si troverà, ne sono sicuro.
    Poi sono d'accordo che i mezzi di informazione dovrebbero parlare più di queste cose e meno dei peli sotto le ascelle del grillino o delle dita nel naso del piddino.
    Preoccuparsi non delle aragoste di Renzi, del compagno di Vendola, delle parolacce di Grillo, ma confrontare le loro proposte sul tema lavoro, ammortizzatori sociali, crisi economica. Chi si erge a giudice dei comportamenti di tutti gli altri criticandone le scelte dovrebbe dirci cosa avrebbe fatto al loro posto.

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  2. Benvenuto! Guarda, io non voglio assolutamente dire che la fiat abbia agito bene e che la fiom abbia torto, nemmeno io conosco personalmente quella realtà. Conosco però abbastanza bene le dinamiche sindacali, specie quelle che muovono alcune sigle smaccatamente ideologiche come i cobas o, appunto, la fiom. E -ribadisco- pur non dicendo assolutamente che marchionne abbia ragione, ho la netta sensazione che tutto questo cancan sia frutto da una parte di una presa di posizione ideologica (noi sindacato vero vs. marchionne padrone cattivo) a cui viene sacrificata la sostanza pratica, riassunta nelle domande che ho posto sopra. Per esperienza diretta (l'ho vissuta da delegato, la vivo anche adesso da semplice operaio) posso assicurarti che nessuna azienda, per quanto arrogante, si sogna di agire in maniera unilaterale contro gli iscritti di una sigla sindacale. Mentre molto spesso capita il contrario, proprio perchè le questioni di merito vengono ignorate e strumentalizzate allo scopo di apparire eroicamente vicini al "povero lavoratore" bistrattato dal padrone cattivo... E magari convincerlo a tesserarsi. Personalmente,quindi, ho difficoltà a credere che questi 19 esuberi siano stati messi alla porta solo perchè delegati fiom; mi permetto di pensare che, oltre ad essere delegati fiom, ci sia anche dell'altro (e che questo "altro" magari nasca proprio dall'idea di avere uno scudo spaziale in quanto "delegato"). Farei lo stesso discorso per un qualunque altro sindacato o lavoratore,perchè comunque -checchè ne dica landini- nelle aziende il sindacato più rappresentato è quello dei non tesserati. Di cui però, caso strano, i leader non si preoccupano mai, impegnati come sono a curare il loro orticello. Per questo dico che, una volta soddisfatta la pancia, bisognerebbe vedere la questione dal punto di vista delle leggi vigenti, dei comportamenti individuali eccetera. Semplificare troppo è molto semplice, ma alla lunga diventa pericoloso.

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  3. Pur non essendo preparata sul caso Pomigliano mi sento di appoggiare la posizione di Bobby. Mi piacerebbe vedere una maggiore lucidità e razionalità nel modo in cui i nostri media espongono queste vicende, mentre spesso, troppo spesso, cercano soltanto di cavalcare l'onda del populismo, di dare opinioni semplicistiche e sensazionalistiche poiché amate dall'italiano medio ( che per natura è ignorante e superficiale). Mi torna in mente una frase che ci disse un grande professore ( a me e ai miei compagni di corso, circa 500 giovani anime di cui solo lo 0,001% un giorno approderà a una professione legale): " avete appena iniziato, adesso siete tutti così, giustizialisti forcaioli. Poi già al secondo-terzo anno cambierete,...perchè poi si analizzano le cose".

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