lunedì 5 novembre 2012

Addio,e grazie per il pesce



Dalle fiere fumettistiche mancavo da un po’, per ragioni di opportunità, economiche e di interesse. Lucca l’ho saltata per diversi anni, per tutti i motivi di cui sopra, cui si aggiunge quello geografico. Ero rimasto, per capirci, alla vecchia dislocazione nel palazzetto dello sport, ad un memorabile pomeriggio in cui i visitatori, già bigliettati, si sono visti negare l’ingresso per eccesso di pubblico. Quest’anno, dunque, io e mrs. Pedersen abbiamo pensato di unire l’utile al dilettevole, regalandoci un ponte dei morti in Toscana con annessa capatina alla “Comics & Games nuova gestione”. Qualche perplessità sul fatto che gli stand fossero sparpagliati per la città c’era (aggiungeteci la tara di un cielo solcato da nuvoloni minacciosi ma, tutto sommato, benevoli), ma il bilancio finale è stato positivo: costringere il pubblico a rimbalzare per piazze e borghi ha evitato l’ammassamento in un unico punto dei visitatori, animando le vie di una folla allegra, vociante e colorata, impreziosita da cosplayer che, ben dispersi nella bolgia, una volta tanto non risultavano fastidiosi ed invadenti. A parte una comitiva di “no-tav” agghindati da Galli di Asterix che hanno ben pensato, tra una foto e l’altra, di darsi al volantinaggio con la cordialità che li contraddistingue (ovvero insultando chi non appoggiava la loro sacra, futile, infantile causa allungando la manina e prendendo il volantino). Insomma, tutto bene, anzi benissimo. Almeno fino al japan palace, luogo in cui s’è ben pensato di radunare tutto lo scibile umano di provenienza nipponica. E quando dico “tutto lo scibile umano”, intendo proprio questo. Chiariamo subito: non ho nulla in contrario con le contaminazioni culturali, anzi: la diversità ci arricchisce, offrendoci punti di vista diversi sul nostro quotidiano. Purchè ciò che si propone venga fatto con cognizione di causa. Da diverso tempo, invece, ho la convinzione che delle culture “altre” gli italioti sappiano prendere solo gli aspetti più superficiali e, in qualche caso, beceri. Convinzione rafforzata da un paio d’ora trascorse nella calca di feticisti del Sol Levante. Passi il punto ristoro a tema, dove al termine di una fila chilometrica e per una cifra su cui non mi sono dato la pena di indagare (escludo comunque fosse bassa) potevi gustare un piatto tipico della cucina giapponese, dal sushi agli onigiri. Almeno nelle intenzioni; il menù esposto indicava che due terzi delle ghiottonerie proposte erano esauriti, cosicchè, al termine di una fila chilometrica e per una cifra su cui non mi sono dato la pena di indagare, dovevi accontentarsi di una vaschetta di plastica trasparente traboccante di una pietanza scagliosa. E no, non mi sono dato la pena di indagare cosa fosse; ho giusto pensato che, rispetto all’epoca in cui i fans più oltranzisti del giappone si ingozzavano di “cup ramen istantanei” griffati naruto, la situazione è leggermente peggiorata. E mi sono chiesto quanti di questi amanti della cucina straniera, una volta tornati a casa, vanno a firmare la petizione contro l’apertura di una kebabberia nel quartiere o lasciano un “mi piace” nelle bacheche di chi inveisce a mezzo social network contro gli stranieri che stanno ammazzando la ristorazione italiana. Comunque, passi questo. Passino anche i banchetti traboccanti di suppellettili ed abiti “originali giapponesi”,fabbricati in Cina e venduti ad un occhio dalla testa. Letteralmente assaltati, anche questi, da visitatori ansiosi di portarsi a casa katane, "geta” o yukata perchè li hanno visti in centinaia di serie tv, una cosa del genere fa “veramente jappo”, quindi compriamo a mani basse, senza quasi guardare il prezzo e senza pensare che non avrò mai occasione di mettermi questa roba una volta tornato a Casalpusterlengo. Dove protesterò contro il carovita, il governo che non fa niente e blablablabla. Passi anche questo. Quello che proprio non mi è andato giù è stato lo stand del “kingyo sukui”, dove per non so quanti euro si poteva mettere alla prova la propria abilità pescando, con apposito retino di carta di riso, un pesce rosso o una carpetta lunga pochi centimetri. Del cui destino, a giudicare dalla quantità di jappominkia ambosessi schiamazzanti, ci siamo preoccupati solo io e la mia signora. Perché Lucca non è il baraccone delle giostre sottocasa, da cui vai e vieni nel giro di un’oretta al massimo col pesciolino rosso nel sacchetto da travasare nella boccia. Lucca accoglie visitatori da tutta Europa, e posso solo immaginare l’agonia di quelle povere bestiole ridotte a merce e destinate ad un’agonia di ore nel sacchetto di plastica. Sempre che i vincitori si ricordino di averli ancora con loro, o non li scarichino in qualche canale. O giù nel cesso per direttissima. Ciò che mi manda ai matti, però, è la pretesa secondo cui tutto ciò viene fatto per “portare la cultura giapponese in Italia e in Europa”. Che è come se, in una fiera dedicata agli Stati Uniti, qualcuno impiantasse un banchetto con divise da poliziotto complete di pistola ed afroamericani. Importare questo tipo di “cultura” è sbagliato, riduttivo, mortificante per il paese da cui proviene e per chi, senza nemmeno sapere cosa sta facendo, impugna il retino e si mette a seviziare incolpevoli pesci. Perché l’ho visto in tanti cartoni animati, fa figo, fa jappo, facciamolo! E poi, una volta tornati a casa, tutti a protestare su facebook contro green hill.

“Amiamo tutti il panda, i delfini e l’orso bruno, ma le galline non le caga nessuno.” (F. Oreglio)

PS: vista la mia incerta situazione lavorativa, stavo pensando di mettermi anche io in affari simili. Perché, ribadisco, le contaminazioni culturali sono importanti e ci arricchiscono, se fatte con cognizione di causa. Quindi, ad una delle prossime fiere, aguzzate la vista. E se trovate uno stand dove, per cinque euro, è possibile praticare il seppuku nel pieno rispetto della cultura giapponese, con veri wakizashi griffati Hattori Hanzo, fermatevi a salutare.

1 commento:

  1. " Internet pullula di filmati di pesca. Del merdoso rock di serie B fa da sottofondo a uomini che si comportano come se avessero appena salvato la vita a qualcuno dopo aver tirato su un marlin o un tonno allo stremo. E poi ci sono le varianti: donne in bikini con il raffio, bambini piccoli con il raffio, neofiti del raffio. A prescindere dalla bizzarria dei rituali, la mia mente torna di continuo ai pesci di questi filmati, al momento in cui l'uncino sta tra la mano del pescatore e l'occhio dell'animale...
    Nessuno dei lettori di questo libro sopporterebbe che qualcuno arpionasse il muso di un cane. Non c'è niente di più ovvio e che richieda meno spiegazioni. E' un cruccio fuori luogo se applicato ai pesci, o siamo sciocchi a preoccuparcene in termini tanto incondizionati per i cani? La sofferenza e il dolore di una morte prolungata sono una crudeltà se inflitti a qualunque animale possa subirla o lo sono solo per alcuni animali?
    La familiarità con gli animali che ci fanno compagnia nella nostra vita può guidarci nelle riflessioni sugli animali che mangiamo? Quanto sono distanti i pesci ( o le vacche, o i maiali, o i polli) da noi nello schema della vita? vicinanza e lontananza hanno qualche importanza? se un giorno ci imbattessimo in una forma di vita molto più potente e intelligente della nostra, e che ci guardasse come noi guardiamo i pesci, quali argomentazioni sfrutteremmo per non farci mangiare?
    La vita di miliardi di animali all'anno e la salute del più grande ecosistema del pianeta dipendono dalle risposte inconsistenti che diamo a queste domande.
    (...)
    Su dieci tonni, squali o altri pesci predatori di grossa taglia che popolavano i nostri oceani dai cinquanta ai cento anni fa ne resta soltanto uno. Molti scienziati prevedono la scomparsa del pescato in meno di cinquant'anni, e sono in corso sforzi notevoli per catturare, uccidere e mangiare sempre più animali marini. La situazione è così grave che gli studiosi del centro di ricerche sulla pesca della University of British Columbia sostengono che "la nostra interazione con le risorse ittiche [note anche come pesci] è arrivata a somigliare a una guerra di sterminio".

    ( da "Se niente importa - perchè mangiamo gli animali?" di Jonathan Safran Foer)

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