La commozione è facile e costa relativamente poco. E per gli eroi, è anche più facile commuoversi; più difficile è rendersi conto di quanto malmesso sia un paese che ne ha un continuo bisogno. Ancor più difficile, riconoscerli per tempo. Ci danno fastidio, costringendoci a guardarci dentro e confrontarci col nostro pressappochismo. Non ci dicono soltanto che un mondo diverso è possibile, ma agiscono in maniera concreta per realizzarlo. Spesso lottando contro l’isolamento, il silenzio, il disprezzo di chi sta loro attorno, e non ne possiede con ogni evidenza il coraggio e la lungimiranza. Lunedì scorso ricordavamo Paolo Borsellino, polverizzato dall’esplosivo che la mafia, con la complicità dello stato, avevano piazzato in Via D’Amelio. Prima di lui, era toccato all’amico e collega Giovanni Falcone. Il cerchio si sarebbe chiuso il ventisei luglio 1992, quando la diciassettenne Rita Atria si suicidò lanciandosi dal settimo piano della casa romana dove le autorità l’avevano trasferita quando aveva deciso di seguire l’esempio della cognata Piera Aiello, facendo qualcosa che la comunità di Partanna non perdonò mai: ribellarsi contro lo schiacciante potere delle cosche e delle loro regole, da tutti accettate come inevitabili, perfino ovvie. La crudeltà di quella vita Rita l’aveva provata sulla sua pelle. Per ben due volte. Prima nel 1985, quando a soli dieci anni i proiettili dei sicari le portarono via l’adorato padre Vito, colpevole di aver violato le regole dell’onorata società di cui faceva parte. Sei anni dopo, la vendetta mafiosa le porterà via anche il fratello Nicola, incamminatosi a sua volta su un sentiero senza ritorno. Il 24 giugno 1991, l’ultimo maschio di casa Atria viene freddato da una raffica di proiettili. E rimangono solo loro, le donne, a struggersi e scambiarsi accuse. Finchè un giorno d’agosto, Piera Aiello, vedova di Nicola e cognata di Rita, si presenta al comando dei carabinieri di Montevago, e domanda: “che volete sapere?”. Ancora non lo sa, forse nemmeno lo immagina, ma quel gesto temerario alzerà intorno a lei un muro di odio che finirà per travolgere anche Rita. Perché da quel momento, Piera diventa una traditrice. Il vero crimine, per coloro la cui vita è scandita dalle regole della criminalità, è schierarsi dalla parte della Legge. I veri nemici non sono i boss ed i picciotti, ma i tutori dell’ordine. Per chi compie l’infamia di collaborare con loro, non può esserci perdono e comprensione. Nemmeno per chi gli sta attorno. E’ la mattina del suo diciassettesimo compleanno, quando Rita viene scaricata dal fidanzato, chè “con la cognata di una pentita io non ci sto”. Vai a spiegare che, tecnicamente, Piera Aiello non si è pentita di nulla, sta solo collaborando con gli inquirenti per spezzare il recinto di dolore ed omertà che circonda Partanna. Vai ad immaginare, che lei ne seguirà l’esempio. Presentandosi a sua volta dai carabinieri, cominciando a fare nomi e cognomi, raccontando fatti con dovizia di particolari, arrabbiandosi quando non viene creduta. Venendo ripudiata da quanto resta della sua famiglia e dai suoi compaesani, Rita troverà di lì a poco un altro padre nella figura di un giudice che, venuto a sapere delle sue dichiarazioni, si interesserà a lei ed alla sua vicenda. Per Rita quell’uomo diventerà una figura di riferimento, l’ultimo salvagente cui aggrapparsi con tutte le forze per non sprofondare definitivamente nel mare della disperazione. Ma nemmeno quell’ultimo appiglio resisterà all’ottusa, cieca furia delle cosche e dei loro neanche troppo occulti alleati annidati nelle istituzioni, o destinati ad entrarvi di lì a poco. Il 19 luglio 1992 la bomba esplode in Via D’Amelio, uccidendo Paolo Borsellino. E, benchè nessuno se ne accorga, in quel momento muore anche Rita. Non, come dicono i referti, una settimana dopo, lanciandosi dal balcone, forse “suicidata”, come amano pensare i complottisti che nemmeno di fronte a simili eventi recuperano quel poco di sanità mentale che hanno. Rita muore allora, quando le portano via quel padre adottivo. Ed ogni anno, questo giorno, rischia di morire di nuovo, uccisa dal più spietato degli assassini, dal più crudele dei carnefici: l’indifferenza. Per questo, non rendiamoci complici del suo omicidio. Ricordiamola. Ricordiamo, soprattutto, ciò che ci ha insegnato.
Una lezione che molti non sanno, o non vogliono, capire.
-La frase del giorno: “Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita. Tutti hanno paura ma io l’unica cosa di cui ho paura è che lo stato mafioso vincerà e quei poveri scemi che combattono contro i mulini a vento saranno uccisi. Prima di combattere la mafia devi farti un auto- esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi ed il nostro modo sbagliato di comportarsi. Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi ma io senza di te sono morta”. (Dal Diario di Rita Atria, Luglio 1992)
-Per saperne di più:
“Una ragazza contro la mafia”, di Sandra Rizza (editrice La Luna, € 15,10)
-Sostieni l’Associazione Antimafia Rita Atria e visita il loro Sito:
Ciò che fa più rabbia è che sembra che eroi come Falcone, Borsellino e Rita Atria abbiano sacrificato le loro vite per niente. In questo stato di merda la mafia c'è ancora. Che schifo, tanti parlamentari si scomodano in leccate varie e poi sono loro i primi mafiosi. Vergogna! Quando certi individui ricordano Falcone e Borsellino, i due giudici si rivoltano sicuramente nella tomba!
RispondiEliminaPurtroppo, i disvalori della mafia vengono trasmessi come una vera e propria cultura e sono difficili da sradicare. La criminalità avvicina a sé i ragazzini perché le loro menti sono più deboli e plagiabili. Ahimè è anche troppo facile, fai vedere ad un ragazzino che avrà tutto e subito, che sarà temuto e rispettato e il gioco è fatto.
Invece secondo me il problema non è solo la mafia in quanto organizzazione- fenomeno sociale, per la diffusione/ affermazione della quale lo stato ha le sue colpe (forse perchè complice? E' una domanda retorica). Il problema principale è, come evidenzia anche Rita nell'ultima pagina del suo diario, che il sistema mafioso (ma anche camorristico, 'dranghetistico eccetera) è radicato anche dentro di noi, che della "mafia" propriamente detta non facciamo parte, ma spesso collaboriamo con chi ne utilizza i sistemi rimanendo silenziosi, passivi, convinti che la cosa non ci riguardi, vuoi per paura, vuoi per convenienza, vuoi per quieto vivere. E che molto spesso la gente non riesce ad immaginare di poter vivere in un modo diverso, di ribellarsi, e chi lo fa automaticamente diventa un ostacolo da eliminare socialmente, se proprio non si può farlo fisicamente. La cosa inquietante è proprio che, con un modus operandi molto simile, io ci sto avendo a che fare proprio in questi giorni. Ed accade qui, nel "civlissimo" nord. Chiaro, non finirò ucciso come Falcone o Borsellino, ma i segnali ed il sistema sono gli stessi.
RispondiEliminaCapito. Ti riferisci alle minacce per le elezioni r.s.u., vero? Sono rimasta allibita quando me l'hai detto. Si, questo è un piccolo esempio di mafia in piccolo. Sono d'accordo che il sistema mafioso sia radicato dentro di noi, in effetti il mio commento analizzava la situazione dal punto di vista dei minori (i miei studi influenzano). Okay, ora ti saluto e preparo la borsa. Oggi pomeriggio-notte... il turno infinito.
RispondiEliminaIn realtà Rita Adria ha deciso di morire quando è mora in lei la speranza, credo non c'entri ne la paura ne l'isolamneto in cui si era trovata e con cui penso sapesse di dover convivere nel momento in cui ha scelto di passare oltre....
RispondiEliminaLa morte di Borsellino e prima di Falcone hanno reso evidente che la mafia e l'omertà nonpotevano essere sconfitte perchè radicate nei cuori e nelle menti del popolo siciliano.
Non si tratta solo di paura, o meglio si tratta della paura di cambiare diventare qualcosa di diverso, abbandonare usi, costumi e tradizioni.
Non dimentichiamo che la mafia viene da lontano e seppur trasformata, abbruttita, snaturata di un suo codice d'onore (difficile crederlo ma esisteva) è stata per secoli uno stile di vita preciso e forse persino rassicurante.
Cosa poteva una ragazzina, seppur molto coraggiosa, contro un mondo che la giudicava...fuori?
Poteva forse solo spersre di cambiare le cose di diventare diversa da quello a cui era destinata e in cui volevano riportarla.
Sparito questo sogno, compreso che la raltà e la sua storia non potevano cambiare ha fatto quello che chiunque abbia rinunciato alla speranza fa!
Un salto nel vuoto l'aveva portata a diventare una pentita ed un salto nel vuoto l'ha resa libera!
Infatti mi colpisce molto come coloro che vivono sotto il giogo della criminalità organizzata spesso la considerino assai più onesta e funzionante rispetto ad uno stato spesso assente ingiustificato. Comunque Rita non era una pentita, ma una collaboratrice di giustizia. E' una differenza sottile, ma importante.
RispondiElimina