Il Procuratore Generale della Cassazione, all’inaugurazione dell’ anno giudiziario, si dice favorevole a che l’ esecutivo vari leggi che garantiscano tempi rapidi e certi per i processi. Due secondi dopo, agenzie di stampa e giornali, alcuni più di altri, titolano: “Dalla Cassazione ok al processo breve”. Che in realtà è morto e sepolto, se passera l’ ennesima porcata ad personam studiata per difendere il vostro amato premier dal (non “nel”) processo. Questo è solo un esempio tra i tanti. Potrei farne migliaia e voi potreste farne milioni più di me. La conclusione rimarrebbe comunque sempre la stessa, per quanto mi riguarda: insieme alla foresta amazzonica, allo strato di ozono, ai mari, stiamo distruggendo un altro dei nostri patrimoni, cioè le Parole. Anche loro sono diventate precarie e flessibili come laureati in fisica nucleare che finiscono a lavorare in un call center per 500 euro al mese. Anche loro, come i precari, perdono il proprio valore, il proprio significato, la propria dignità, stuprate dalla bisogna di chi le pronuncia. Ecco quindi i latitanti diventare “esuli”. Le guerre “missioni di pace”. I puttanieri “utilizzatori finali”. Mi sembra di essere tornato indietro di anni, quando leggevo le dispute degli esegeti sulle quartine di Nostradamus e si cercava di stabilire se fosse un veggente appassionato di enigmistica o solo un amante della prosa contorta. Solo che ognuno di noi adesso è costretto a diventare esegeta di ciò che legge e sente. Con la beffa di dover pure mandar giù lo sconforto nel trovarsi davanti bestialità che ai tempi della scuola ci sarebbero costate un quattro ed oggi fanno bella mostra di sé in televisione, sui giornali e nei libri. Fate una prova: date un’ occhiata al televideo della Rai, di quando in quando. Scoreverete quotidianamente orrori di ortografia, grammatica e sintassi che vi faranno sentire dei geni, se confrontati a quelli che facevate nel dettato alle elementari. Orrori che proliferano anche sui quotidiani e nella letteratura. Si può dare la colpa ai tempi editoriali, ai correttori di bozze, alla sbadataggine. Ma nessuno mi leva dalla testa che tutto questo accade soprattutto per un motivo: le parole ormai sono solo un mezzo, e neanche il più immediato, con cui raggiungere uno scopo. E se questo non è nobile, più sono intricate e magari anglofone, meglio è. Se poi si tratta di pagine scritte… meglio ancora. Tanto ormai i lettori sono una specie in via di estinzione, antropologicamente diversa dal resto della razza umana. Si compra il libro di moccia non perché valido, ma perché fenomeno culturale. (scusate un istante, vomito e torno). Perciò chi se ne frega. Beh, sarà anche per l’ attività che svolgo, sarà che amo la letteratura, ma mi frega eccome. Per questo nel mio piccolo do’ di matto quando negli sms leggo “xkè”, “nn” e “qndi” anziché “perché”, “non” e “quindi”. Quando sento definire un oggetto “il coso”. Quel “coso” ha un nome proprio; nella magia, i nomi sono fonti di potere. E prima ancora, nella vita di tutti i giorni, sono forme di rispetto. Probabilmente è questo che ci manca sempre di più, il rispetto, in primis verso noi stessi, la nostra dignità, la nostra intelligenza prima ancora che verso gli altri. E senza il rispetto di ciò che (si) è, non possiamo andare da nessun’ altra parte che nel baratro della barbarie. Ci stiamo finendo, lentamente ma irreversibilmente. Ci stiamo finendo perché perdiamo progressivamente la capacità di capire di cosa stiamo parlando, e valutarlo quindi di conseguenza. Perché nel silenzio generale le parole perdono di significato, quindi di potere e di valore. Forse è anche giusto che sia così. Perché persino i significati del silenzio vengono ormai fraintesi.
Silenzio assenso. O di tomba. Manca solo la lapide. Che presto o tardi, verrà eretta dalla nostra indolenza.
-La notizia del giorno: berlusconi in visita in Israele. Dimezzato il numero dei reati in Italia. (liberamente tratta da una storica battuta di Daniele Luttazzi)
-La frase del giorno: “Le parole sono il mezzo per giungere al significato, e per coloro che vorranno ascoltare, all’ affermazione della Verità.” (H. Weaving, in “V for Vendetta")
martedì 2 febbraio 2010
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