giovedì 12 novembre 2009

Il fattore “U”

Ci penso ogni volta che arrivo al casello dell’ autostrada. Ogni volta che chiamo il numero di assistenza di tim o vodafone. Ogni, rarissima, volta che vado in un centro commerciale. Ogni volta che passo davanti ad un self service, ad un distributore automatico di bevande, snack o sigarette. Di quelli che, due volte su tre, ti fregano i soldi. Ogni volta che un amico mi passa il link di un negozio online con sede alle isole Samoa, che vende a prezzi stracciati. Ci ho pensato l’ altro giorno. Un collega mi magnificava un nuovo, rivoluzionario sistema introdotto all’ Esselunga vicino casa; dovrebbe trattarsi di una pistola dotata di scanner da portarsi dietro mentre si fa la spesa. Se lo scopo sia quello di arrivare in cassa col conto già fatto o solo quello di tenere sottocontrollo ciò che stai spendendo non l’ ho ben capito, e nemmeno mi interessa. Io la spesa la faccio in un negozietto sottocasa, di quelli dove puoi ancora permetterti di conoscere e chiamare i cassieri ed i proprietari per nome. La faccia del mio interlocutore s’ è accartocciata: ma lì la roba costa di più. Il che non è neanche del tutto vero. Ma anche se lo fosse, almeno lì ho un essere vivente e senziente con cui interfacciarmi. Il che vale bene un piccolo sovrapprezzo. Lì per lì, seppur con la confusione di chi si ritrova sbattuta in faccia un’ ovvietà mai nemmeno sospettata, il collega mi ha dato ragione. Ripensandoci, il mio ragionamento è aberrante. O forse sono aberranti i tempi che mi hanno portato ad elaborarlo. Fatto sta che ripenso all’ ottusa ostinazione delle casse automatiche al casello; “introdurre il denaro o la tessera”, e peggio per te se volevi chiedere un’ informazione all’ assente casellante.
Peggio per te se non hai i soldi giusti, e dovrai aspettare in un tripudio di clacson impazienti dietro alle tue spalle (muoviti che ho fretta, io io io) che l’ ultimo prodigio tecnologico calcoli coi suoi microchip quanti soldi hai messo e quanto resto deve darti. Sempre che non impazzisca e si tenga tutto il malloppo. E’ capitato anche questo. E’ capitato che le cassiere mi indirizzassero alla “cassa amica”, dove hai il privilegio di passare da te la merce comprata sullo scanner, farti il totale e lo scontrino; meno fila, forse, ma doppio lavoro. Acquirente e negoziante. E’ capitato di dover perdere quasi cinque minuti premendo i tasti del cellulare per riuscire a parlare con qualcosa che non fosse una voce registrata cui chiedere un’ informazione. Capita anche questo. Capita che io voglia vedere qualcosa prima di comprarla, tastarla e valutarla coi miei occhi, scambiare due chiacchiere col negoziante, col benzinaio mentre infila i soliti trenta euro di verde nel serbatoio del mio peugeottino. Pagare di meno la benzina al self service non mi interessa. Mi preoccupa semmai la logica perversa che sembra animare molti e spazzare via troppi: vado là perchè costa di meno. Ok, in tempi di crisi come questi è anche capibile. Ma forse è proprio in tempi di crisi come questi che bisognerebbe riscoprire qualcosa di diverso, qualcosa di più importante. Che io sia un misantropo non è una novità. Mi spazientisco, e tanto, ad avere a che fare con certe persone. Ma mi spazientisco ancora di più ad avere a che fare con un’ ottusa macchina . Con una persona puoi spiegarti, capirti, scusarti, mandarti al diavolo. Ad una macchina puoi solo soccombere. Nella nostra presunzione, le crediamo nostre schiave e servitrici, portatrici di un futuro radioso e di riposo in cui loro lavoreranno al posto nostro. Sì, certo. Peccato che intanto noi saremo a casa, in cerca di un lavoro per sfamare la famiglia, per dare un senso alla nostra giornata, perchè quello che facevo prima adesso lo fa un registratore che sa dire solo “digiti uno”. E per la disperazione, o per esperienza pregressa, accetto di fare il pupazzo sorridente in un centro commerciale. Nessuno saprà mai come ci chiamiamo. Nessuno saprà stabilire con me quel rapporto di leale complicità che c’era quando stavo dietro al banco salumeria giù al negozietto. Sono lì solo a compiacere famiglie in cerca di un ingannevole benessere tra tv al plasma e prodotti in tre per due. Sempre che non riescano a comprarli su internet da gente che non vedranno mai e con cui non avranno mai un autentico rapporto. Ma lì costano meno. Sono nostalgico? Forse. Sono contro la tecnologia? Sicuramente non la vedo tutta di buon occhio. Mi sta bene che una macchina più moderna ne sostituisca un’ altra, divenuta ormai obsoleta. Ma se quella macchina ormai obsoleta è un padre di famiglia, una madre con figli a carico, un giovane che vuole mantenersi agli studi e magari si fa in quattro per mandare avanti la propria attività? E’ giusto che il suo posto venga preso da uno stupido ammasso di transistor, o da uno sconosciuto che abita in capo al mondo e potrebbe anche essere Bin Laden? Sì, forse boicottare certi posti per mantenere un minimo di contatto umano col prossimo anche a costo di pagare di più è aberrante. Forse è sbagliato il mio modo di pormi. O forse è sbagliato un mondo dove per parlare con un operatore devi fare digitare due volte tutti i numeri della tastiera...

-La notizia del giorno: rutelli fonda "l'alleanza per l'italia". Un nuovo partito. Della serie (anche questo) fa parte della nostra cultura.

-La frase del giorno: “Felicità è anche non accorgersi che in realtà si è soli”. (B. Yoshimoto)

4 commenti:

  1. Che strano, oggi ho un interesse particolare per ciò che hai scritto. Forse.. ebbene sì, forse perchè proprio oggi ( ma visto l'orario sarebbe meglio dire ieri) ho avuto modo di fare riflessioni simili alle tue. Non in un negozietto sotto casa né in un centro commerciale, ma nell'unione dei due: la classica catena internazionale stile discount a basso costo, di piccole dimensioni. Alle 17:00 di sera.
    E ciò che vi ho trovato era l'umanità di cui parli tu. Vi ho trovato la battuta ironica di un cassiere, l'attenzione particolare di un'altra acquirente, la lenta danza dei vecchi che posano i loro pochi prodotti nei carrelli di tela con fantasia a scacchi. E sono uscita con un sorriso a fior di labbra: c'era complicità, lì dentro. quella che si crea tra le persone che fanno la spesa il mercoledì sera, che non riempiono mai i carrelli, che tra i prezzi bassi scelgono quello più basso ancora, salvo poi togliersi lo sfizio di comprare i biscotti al cioccolato, ma quelli buoni. Era qualcosa di completamente diverso dall'atmosfera molto più curata, pulita e asettica dei centri commerciali.
    Quindi no,non generalizziamo. forse ogni realtà fa da sé, ogni microcosmo fa da sé.

    Gwendoline Riley per prima mi ha fatta riflettere sul concetto di solitudine, e da lei e dall'esperienza ho imparato qualche cosa di differente: la felicità sta proprio nell'accettare la nostra perenne solitudine.
    siamo tutti soli, è la nostra condizione. Ma per quale motivo questa idea dovrebbe creare associazioni tristi di idee riguardo al pianto e alla disperazione?
    la solitudine può essere una risorsa.

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  2. Come direbbe Rocco Siffredi: "L'affare si ingrossa!"^^ Sono pienamente d'accordo a metà con alcune tue affermazioni (anche se io mi riferivo più al sistema in quanto tale piuttosto che ai luoghi presi singolarmente),mentre dissento totalmente o quasi dalla riflessione sulla solitudine. Però per non creare un blog nel blog facciamo che mi prendo un paio di giorni per pensarci bene e ti risponderò in un post della prossima settimana,ok?

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  3. Noooo non dirmi che addirittura mi merito un post di risposta -.- ma non c'è bisognooooo bobby!

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  4. Mmm... (pensavi di esserti liberata di me? Illuso!.. sto solo recuperando gli arretrati!) Credo che per quanto l'apporto dei singoli possa essere discriminante, i centri commerciali sono e restano non luoghi. Io quando ci entro mi sento sempre a disagio...e se non esco tempo 2 minuti, perdo la cognizione del tempo, oltre che dello spazio. Son fatti apposta così.. per me sono alienanti, e servono esattamente allo scopo.. per tacere poi delle condizioni di chi ci lavora dentro..

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