Logico, no? Passi un’ intera giornata accanto al cellulare, in attesa di un SMS o di una telefonata. Lo abbandoni giusto quel quarto d’ ora necessario a scendere il cane (tranquilli, l’ ho scritto apposta). Torni su... e trovi una chiamata. Un numero che ti sembra di conoscere. Richiami. E chi è ? La tua ditta. Cosa vuole? Dirti che lunedì sette (cioè oggi) devi ripresentarti a lavoro. Yuppi. Con che turno? Secondo. Yuppi- du. Dovrò fare una maratona assurda per finire di vedere la quinta serie di Babylon Five, per quanto non sia granchè. Ma nel complesso... che palle. Adesso, non fraintendetemi. Sono più che felice, in tempi come questi, di avere ancora un’ azienda a cui tornare, a differenza di tanti altri. Anche se mi preoccupa sempre ciò che ci dissero una volta nel corso di una riunione con la Direzione; il responsabile del personale proclamò che avrebbero sfruttato il periodo di cassa integrazione per sistemare le mille mila cose che non si riesce mai, per vari motivi, a sistemare quando l’ attività lavorativa è a pieno regime. “Al loro rientro, i lavoratori troveranno un’ azienda diversa”, ha detto. Quindi potete capirmi se, coi tempi che corrono, io temo di arrivare sul posto e trovare, anzichè la solita ditta, un Carrefour. Dopo quattordici anni di metalmeccanica, è dura ricominciare da capo sistemando i Tampax sullo scaffale vicino ai dentifrici. Non che non riuscirei ad abituarmi al nuovo modus vivendi. Sono abbastanza flessibile, forse anche troppo, cosiderando quante volte mi sono abbassato per prenderla nel culo. Quel che non so è se, dopo parecchi mesi di stop forzato in cui mi sono sciacquato le palle di certe situazioni (bella metafora, eh? Densa di significati intrinsechi), ho ancora la pazienza per rituffarmi nel mare magnum delle chiacchiere, delle voci di corridoio che nel giro di mezz’ ora rimbalzano di bocca in bocca diventando verità acquisite (poi smentite dalla realtà dei fatti nel 99, 9% dei casi). Se ho ancora voglia di far fronte ai falsi sorrisi, alle piccole lusinghe interessate, alle mille maldicenze ed ipocrisie di una comunità che anzichè andare avanti compatta procede sulla falsa e sbagliata riga dell’ ognuno per sè. Comunità di cui poi, come sindacalista, dovrei anche prendermi cura e tutelare, ed i cui membri ci rimangono male quando dico che la prima cosa da cui devo tutelarli sono loro stessi. Purtroppo è opinione comune che il delegato sindacale debba difendere il lavoratore sempre e comunque perchè viene pagato per questo. Peccato che l’ unico pagamento da me percepito in tal senso siano notevoli attacchi d’ ulcera e laceranti mal di testa (inevitabili, quando vedi cose che voi umani non potete neanche iniziare ad immaginare). E che difendere l’ indifendibile non sia mai stata mia abitudine. La fortuna è che posso contare su colleghi di confederazione con molta più esperienza e pazienza di me. La cosa strana è che il mio atteggiamento intransigente scontenta alcuni, tenendomeli per lo più alla larga, ma mi ha fatto guadagnare presso altri un’inaspettato credito. Mi considerano un Eliott Ness in tuta blu che rigetta il calcolo politico del “ti aiuto se mi fai la tessera”(ciao, amici della FIOM !) o l’ assioma “l’ Azienda è il male, io sono la cura. “Non che sbaglino a vedermi così. Sono l’ unico che invita i lavoratori a non tesserarsi se non hanno fiducia nei delegati aziendali, e sono convinto che non ci siano buoni o cattivi.
L’ Azienda fa la sua parte curando i propri interessi, e la fabenissimo, e noi dovremmo fare la nostra, e troppo spesso la facciamo male, perchè prevalgono logiche politico- affaristiche anzichè quella che dovrebbe essere alla base dell’ attività sindacale: la tutela dei lavoratori. Ma senza esagerare. Perchè a difenderla troppo, certa gente poi non cresce più e si abitua male. Io già non sopporto i bambini di dieci anni che “voglio voglio voglio” (ma in effetti non sopporto i bambini in generale), figurarsi bambini di quaranta con famiglia a carico che “voglio voglio voglio e quindi devi devi devi”. Va bene i diritti, ma ricordiamoci anche dei doveri. Eppure so che è a questo che sono tornato oggi, e se non proprio oggi la solfa e le lagne ricominceranno molto, troppo presto. E finirò per pormi la stessa domanda che mi fanno molti colleghi: chi te lo fa fare? Perchè non te ne vai? Ormai sei uno scrittore, e comunque uno come te, con la tua cultura dovrebbe aspirare a qualcosa di più. Ora, a parte il fatto che non è pubblicando un libro che ti crei la possibilità di salutare ed andare verso più bui e freddi picchi affacciati su un dirupo (che avete da guardare? Odio i lidi assolati, embhè?), e che ho abbastanza neuroni da poter fare anche più cose contemporaneamente, a me piace il lavoro che faccio. Non è troppo impegnativo, è ben pagato, e mi permette di rimuginare sulle mie faccende mentre tengo in movimento il resto del corpo, evitando di diventare una specie di Jabba The Hutt acculturato e con licenza di scrivere. Suona strano dirlo in un paese dove quasi tutti vogliono il lavoro in ufficio, ma fare il metalmeccanico mi piace e non ho aspirazioni ad essere qualcosa di diverso o di più. Inutile negare che se la scrittura diventasse un’ attività sufficientemente redditizia ne sarei più che contento. Ma... lascerei per questo il lavoro in fabbrica? Non lo so. Oggi come oggi, credo di no. Anzi, togliete il credo. Se non altro perchè conoscendomi mi annoierei, ed avvilirebbe me e ciò che faccio, passare le giornate davanti al PC nello sforzo di dover assolutamente creare qualcosa per mettere insieme il pranzo con la cena, anzichè trascorrere qualche ora davanti a monitor e tastiera solo quando ho qualcosa da dire. Quindi per ora mi tengo stretto il mio lavoro, ringraziando Uzala di non essere un precario che lavora diciotto ore al giorno per cinquecento euro in un call center (e pregando Cthulhu di non diventarlo mai ) e faccio buon viso a cattivo gioco, contando fino a diecimila quando mi ritrovo in una di quelle situazioni che mi esasperano. Perchè a ben pensarci, più che un Elliot Ness sono Hulk. Voglio solo essere lasciato in pace, a svolgere i compiti assegnatimi dal caporeparto e, nel frattempo, creare e ragionare su storie che metterò o sto già mettendo sulla carta. Sperando che questa crisi economica che non c’ è ma dalla quale siamo usciti anche se ci siamo ancora dentro passi del tutto e si ritorni quanto prima ad un ritmo di lavoro più stabile (chè poi lo scazzo è anche quello, ripartire dopo lunghi stop forzati e fermarsi di nuovo appena hai ripreso la mano. )
E sperando davvero di non dovermi mai ritrovare a sistemare i Tampax in un Carrefour per duecento euro al mese. Spero non accada. Ma se la legge di Gumperson ha un senso...
-La notizia del giorno:papa nazyngher afferma che la chiesa non vuole prendere il potere. Infatti. Vuole che si consegni spontaneamente.
-La frase del giorno: “Se qualcosa può andar male, lo farà. “( Legge di Murphy)
lunedì 7 settembre 2009
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