Senza le indicazioni fornitemi da Laura, probabilmente non avrei mai raggiunto la libreria dove si registra l’ intervista. Ed anche con le indicazioni, non è stato così semplice. Le dimensioni ed il caos della stazione Termini mi hanno disorientato più di quanto non sia già di mio, con l’ aggravante del sonno che mi avvolgeva come ovatta. L’ impressione non è stata comunque buona; a differenza del caos milanese, quello romano m’ è parso ancora più straniante, permeato di un’ indifferenza e di una noia nei confronti del prossimo e di sè stessi che certamente non è stato un buon biglietto da visita. Recuperati comunque due biglietti, ho attraversato il vasto piazzale dove sostano gli autobus, occhieggiando distrattamente le bancarelle arroccate sulle banchine di sosta. Una di queste (bancarelle, non banchine) ha attratto particolarmente la mia attenzione; il poco tempo prima e la stanchezza poi non mi hanno permesso di dedicarmici come avrei voluto, cosa che avrei fatto l’ indomani, sul filo di lana. Ma ci torneremo in seguito. Ora ho un autobus da prendere, e verirficato con l’ apatico conducente che il suo itinerario mi condurrà dove devo andare, timbro il biglietto. Anzi, lo faccio timbrare da un altro passeggero più abituato di me ai mezzi pubblici romani; io non riuscivo ad obliterarlo, lo infilavo al contrario. Per fortuna la cortesia non è del tutto morta nemmeno nella capitale. Quel che mi ha colpito del traffico romano è l’ alto numero di taxi ed autobus che girano per le strade, e la scarsa considerazione che gli autisti sembrano avere per gli altri guidatori ed i pedoni. Più una corsa automobilistica quasi senza regole che una circolazione vera e propria. E’ strano trovarsi a rimpiangere il traffico milanese, ma mi è capitato spesso durante il mio breve soggiorno. Comunque, intorno a mezzogiorno raggiungiamo via Po; ed io, memore delle indicazioni fornitemi, scendo alla prima fermata. L’ avessi mai fatto. Le fermate di via Po sono almeno una ventina, alcune addirittura doppie o triple... e non ce n’ è una che sia una che sia Simeto. Smarrito in terra straniera, e senza nemmeno una cartina per orientarmi. Posso sempre chiedere in qualche locale, se proprio si mette male(ma visto quanto accadrà in seguito, sono contento di non averlo fatto); tuttavia decido di fare un pezzo a piedi, prima di disperarmi del tutto. Un po’ perchè a star fermo mi riassale il sonno; un po’ perchè, razionalmente, via Po l’ avevamo appena imboccata. Stando alle indicazioni, via Simeto dovrebbe essere ben visibile. Così è, per fortuna. La trovo dopo un centinaio di metri, e da lì a via Basento è un tiro di schioppo. La libreria de “Il Filo” è piccola ma onesta, non cerca lo sfarzo a cui preferisce una quieta intimità, di quelle che si avvertono nelle librerie di una volta, dove si vendono libri e non fenomeni mediatici come moccia e faletti. La cosa mi consola; mi ero aspettato qualcosa di arrogante e pretenzioso. Uno di quei casi in cui son contento che le mie aspettative vengano deluse. Varco la soglia, mi presento, ed il commesso alla cassa mi invita a tornare più tardi, anche perchè ormai è ora di pranzo e ci sarà comunque una pausa. Logico. Nessun problema; mi infilerò nel primo baretto che trovo, ho un certo appetito, e tornerò per tempo. I miei pronostici di un pranzo solitario vengono disattesi quando mi si avvicina quello che avevo scambiato per un anziano ma giovanile cliente, e si rivela invece essere un altro autore emergente. Anche lui è lì per l’ intervista. Trovatici su un terreno comune, la complicità scatta presto, insieme alla voglia di ingannare l’ attesa conoscendoci meglio. Le vie di Roma diventano il teatro di una passeggiata dove ci scambiamo idee, opinioni, esperienze; in un primo momento, sbagliando, lo scambio per un berlusconiano. Poi mi rendo conto che si tratta semplicemente della mia antitesi; una persona che, pur condividendo molte delle mie opinioni, ancora crede nella bontà di fondo delle persone. Non è un caso se lui scrive poesie, ed io racconti “disperati e disperanti”, come affermerò nell’ intervista. Mi legge alcune delle sue opere mentre pranziamo; un piatto di risotto coi funghi per lui, un trancio di focaccia col crudo ed un dolcetto per me. Non sono un esperto di poesia, ma mi piacciono molto le sue. Così come lui pare apprezzare, forse anche eccessivamente, il breve componimento che ho portato con me e dovrà essere inserito nell’ antologia. Siamo ancora lì a chiacchierare del più e del meno, vecchi amici che ci vedono per la prima volta, quando Crono ci riporta alla realtà. Le due meno un quarto. E’ ora di andare; le luci della ribalta ci attendono...
venerdì 23 ottobre 2009
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