giovedì 22 ottobre 2009

Diario romano- parte 1

Ed eccoci qui. Io a raccontarvi come ho vissuto questa esperienza romana, voi a leggerla... sempre che ve ne freghi qualcosa. Devo dire che mai come in questi due giorni ho patito la mancanza di un portatile serio, sul quale imprimere le mie sensazioni in tempo quasi reale. Ammesso che ne avessi le forze; lunedì mattina, infatti, mi sono imbarcato sul freccia rossa delle otto e quindici con l’ euforia di chi ha vissuto due giorni fantastici in compagnia di una persona che non esistono parole sufficienti per descrivere e ringraziare. Proprio lei mi ha accompagnato al binario; lei mi ha fatto compagnia per tutto il tragitto, con uno scambio di SMS come sempre divertenti e dolci. Fuori dal finestrino, scorrevano paesaggi e cangianti, irreali, su cui incombeva una nebbia compatta, eterea, un’ atmosfera da film di Lynch o Burton. Altri compagni di viaggio: un buon libro di Enzo Biagi, il mio fido lettore di MP3, ed un sonno becco, acuito dal moto rettilineo e cullante del treno. Resomi conto che la prosa di Enzo rischiava seriamente di farmi addormentare (non per noia, ma perchè troppo piacevole in quel contesto), ho cercato rifugio nelle note di Belinda Carlisle ed Elio... se non che, irrompe la tragedia. La batteria che pensavo avrebbe retto almeno fino al mio arrivo a Roma mi abbandona a metà di “Runaway Horses”. Ed improvvisamente mi tramuto in una versione tridimensionale, monocromatica e sciarputa dell’ “Urlo” di Munch. Perchè ovviamente non ho con me una batteria di scorta. E come sempre accade quando ci si rilassa, ormai il sonno non mi minaccia più: mi assedia, e sta per avere la meglio. Passo così l’ ultima parte del tragitto agitandomi come un ossesso sul sedile (Uzala gratias che accanto a me non ci fosse nessuno), la testa ciondoloni, alzando ed abbassando il tavolino, smanettando col cellulare, riaprendo il libro di Biagi solo per richiuderlo non appena mi rendo conto che non ho capito niente della riga che ho letto tre volte. Per la disperazione, arrivo ad ascoltarmi le suonerie del cellulare, pur di non abbioccarmi. -_- Quantomeno, ho deciso di prendere un treno che mi porterà a destinazione nella metà del tempo che impiegherebbe un convoglio normale; quindi, per quanto interminabile, il patimento dura meno di quanto sembri. Anche qualche schizzo di acqua fredda, recuperata nella toilette la cui porta qualcuno cerca sempre di aprire (Legge di Murphy; tutti dovranno andare in bagno quando ci sei dentro tu), mi aiuta a giungere a destinazione relativamente desto. Mancano ancora quindici minuti all’ arrivo, quando la gente comincia ad alzarsi, vestirsi, recuperare valige e zaini, chiudere portatili e lettori DVD da tavolo (ebbene sì, ce n’ erano parecchi) ed accalcarsi alle porte. Io, come sempre, sono l’ ultimo a scendere dalla carrozza, e non posso fare a meno di chiedermi perchè la gente sia sempre così di corsa. Ma anche io, una volta sulla banchina, procedo come sempre a passo spedito, zigzagando tra la folla che dopo tanta concitazione adesso deambula pigramente. La mia SPM (Sindrome di Pietro Maximoff) quanto meno è una costante. Sono le undici e quaranta. L’ appuntamento è per le 14.15. Ho tutto il tempo di avvisare chi devo avvisare che sono arrivato sano e salvo e prendere l’ autobus 86 che deve portarmi in via Basento. Sono in largo anticipo, lo so. Ma come dice sempre Hj, bisogna sempre fare un sopralluogo, prima della missione...

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