Stavo facendo jogging lungo i pendii insubrici quando me la sono trovata davanti. Giovane, frangetta da Victoria Cabello (e non è garanzia di simpatia), sguardo estasiato al quale un grafico non proprio cool aveva aggiunto due stelline luccicanti. Mi sono fermato per riprendere fiato e per vederla meglio. Era su un manifesto che pubblicizzava un concorso indetto da una catena di supermercati insubrici. Un concorso con in palio qualcosa che le faceva brillare di desiderio gli occhi. Vacanze sotto quelle maledette palme che decorano i desktop dell’ impiegato medio? Una pioggia di gettoni d’ oro? Una Ferrari? No. In palio c’ erano trenta posti di lavoro. La sera, nel suo candido lettino, quella ragazza non sogna il Principe Azzurro, ma il Camice Azzurro, quello della cassiera. Se qualcuno ancora nega la crisi, ecco la dimostrazione che siamo come ai tempi della Repubblica di Weimar e dei suoi impressionanti livelli di disoccupazione. Non mi pare si sia parlato molto di questo inusuale e imbarazzante concorso. Un accenno al TG5, qualcosina su Internet. Ma forse solo perchè si svolge in Insubria, ossia in quella zona tra Varese, Novara, Canton Ticino dove nulla fa notizia, se non qualche massacro in famiglia. Se dovete dire che sono razzista, risparmiate fiato, inchiostro e mail. Non lo sono. Ma è evidente che i media sono mezzogiorno- centrici e se questo concorso si fosse svolto a Manfredonia ci sarebbero stati editoriali, interrogazioni parlamentari, fiction, romanzi new epic e beffarde canzoncine di Caparezza. Invece si svolge al Nord, dove, nella sciocca mentalità da Leader dei Disobbedienti, siamo tutti ricchi e cattivi. E i posti di lavoro li mettiamo sui pali della cuccagna per ridere dei disoccupati che scivolano frustrati. In fondo questo concorso non è che un altro dei tanti strani modi in cui in Italia consideriamo il lavoro. Che sarebbe poi quella cosa su cui si basa l’ intera Repubblica, come si premura di dire la Costituzione fin dal suo primo articolo. Il lavoro in Italia è qualcosa che si celebra il Primo Maggio in quel tripudio di scioperatezza che è il Concertone. Il lavoro in Italia è spesso un dramma che è meglio non risolvere altrimenti si chiudono i rubinetti ispirativi di film e libri e monologhi di Ascanio Celestini su precari e mobbing. Il lavoro in Italia lo vogliono tutti, giustamente, poi quando lo hanno iniziano a lamentarsi. Di un film apparentemente frivolo come "“ll diavolo veste Prada” mi ha colpito il modo in cui i giovani protagonisti americani parlano con orgoglio del proprio lavoro. Da noi appena conquistata una scrivania si iniziano a mandare mail in cui uno schematico pupazzetto sbatte per cinque giorni la testa contro un pc e nel fine settimana si alterna tra birra e amplessi. Il lavoro in Italia non si trova con le inserzioni. Di un film apparentemente frivolo come “Il diario di Bridget Jones” mi ha colpito il fatto che in Gran Bretagna le emittenti televisive cercando collaboratori con gli annunci sui giornali. Da noi TV ed editoria sono campi blindati che funzionano come certi circoli esclusivi: si entra solo se presentati da un altro membro. Da noi i paladini dei centri sociali scrivono sui muri “No al lavoro. Salario sociale per tutti” firmando con falce e martello. Che erano i simboli del lavoro, mi sembra, e del partito stesso che i lavoratori raccoglieva e difendeva. Ma forse a scuola quando hanno spiegato il comunismo certi rivoluzionari erano a casa con la febbre. Da noi si cerca subito il lavoro ai massimi livelli. Sento spesso cugini pugliesi (ebbene sì, sono di origini meridionali anche io) che vengono a Milano per cercare lavoro. E che tornanto sdegnati a casa quando scoprono che Tronchetti Provera non ha alcuna intenzione di lasciar loro il suo posto. Di un film apparentemente frivolo come “Rocco e i suoi fratelli” mi ha sempre colpito la gioia con cui quei quei poveri lucani salutano la neve e la possibilità di lavorare un po’, spalandola. Bene, ho ripreso fiato e posso ricominciare a correre. Vergognandomi, perchè a me sembra di non aver mai lavorato. Per troppi anni ho visto mio padre che tornava a casa incarnando i due aggettivi che facevano il lavoratore: sporco e stanco. Io non mi sono mai sporcato lavorando. Forse solo una volta, quando ho lottato per cambiare il toner alla stampante. E quando spengo il computer le ossa non mi fanno mai male. Tanto basta per sentirmi anche io scioperato come tutti gli altri che disprezzo.
(articolo di Tommaso Labranca tratto da FILMTV numero 39 dell’ Ottobre 2009)
-La notizia del giorno:il dolo alfano è incostituzionale. berlusconi: "me ne frego." Mi ricorda qualcuno...
-La frase del giorno: “C’ è chi vuole il posto, e non il lavoro.” (Enzo Biagi)
Stavo per farti le pulci quando scopro che il pezzo non è tuo.. vabbè, tanto lo condividi e te le faccio lo stesso :D
RispondiElimina- Romanzi new epic? Si riferisce al NIE?
- Cos'hanno che non va le "canzoncine di Caparezza"?
- Cazzo c'entra Ascanio Celestini?
Perché citare queste robe in chiave polemica? L'autore vuole forse vedersela con me? :P