domenica 28 aprile 2013

Iron Man 3: la recensione



“Che cosa sei senza la tua armatura?”
Poco prima che gli schiavi di Loki si scatenino, un inviperito Steve Rogers lo domanda allo strafottente Tony Stark.
Che, se in “Avengers” rispondeva per le rime allo scudiero a stelle e strisce, nel terzo capitolo delle sue avventure in solitaria deve finalmente guardare in faccia la realtà.
“Iron Man 3” mette infatti in scena uno scontro solo apparentemente classico tra il geniale inventore in armatura e la sua nemesi storica, il Mandarino, affiancato per l’occasione dal bieco Gianroberto Casaleggio Aldrich Killian, leader dell’A.I.M (Avanzate Idee Meccaniche, chi meglio di loro), il quale ha, a sua volta, qualche conto in sospeso con Tony e Pepper.
La trama, che miscela sapientemente e con originalità gli archi narrativi “Extremis” e “I Cinque Incubi”, fornisce ottimi spunti per una riflessione sul tema dell’abuso tecnologico e la strategia della tensione esercitabile attraverso i media.
Ma la minaccia del Mandarino -la cui sorprendente rivisitazione, affidata a Ben Kingsley, è di quelle che non permette mezze misure: o la si ama o la si odia- è secondaria rispetto allo scontro lacerante mai mostrato apertamente, ma che costituisce il vero perno del film: quello di Tony con se stesso.
Con la sua incapacità di accettare, nei fatti, che le cose sono cambiate, che esseri quasi onnipotenti si aggirano per il mondo minacciando di distruggerlo, e Tony potrebbe non essere all’altezza di affrontarli, figuriamoci sconfiggerli.
L’invasione dei Chitauri lo ha segnato profondamente, lo tormenta non solo nei suoi incubi, dai quali cerca di sfuggire negandosi il sonno per giorni.
Supportato dal fedele Jarvis, passa ore ed ore a lavorare ad armature sempre più sofisticate; se in “Avengers” utilizzava il prototipo MK 7, qui lo vediamo sfoggiare fin dall’inizio il modello MK 42, talmente avanzato da poter essere controllato a distanza (ma inopinatamente la peggior armatura di sempre, sia come estetica che come prestazioni).
E fin dall’inizio risulta evidente che Tony desideri  qualcosa di più di uno strumento col quale contrastare i nemici.
Per sfuggire ad un mondo nel quale non è più lui a dettare le leggi, Tony fugge nell’armatura, che diventa un bozzolo, un utero, un portale verso una dimensione a lui più congeniale, familiare e controllabile.
Una realtà dove le cose sono logiche ed obbedienti, a differenza delle persone, come l’amata ma orgogliosa ed indipendente Pepper, con cui Tony non riesce mai ad aprirsi completamente.
Però, quando il Mandarino colpirà dove fa più male, privandolo di tutte le sue risorse e dei suoi affetti, sarà proprio nei rapporti coi suoi simili che Tony troverà la forza di affrontare le sue paure, il suo senso di inadeguatezza, lo smarrimento talmente opprimente da procurargli veri e propri attacchi di panico, per sfuggire ai quali deve correre a rinchiudersi nell’armatura.
La scelta del deus ex machina che aiuterà Tony a rialzarsi dalla polvere, anzi dalla neve (il film è ambientato nei giorni di Natale) è stata aspramente criticata, perché ritenuta troppo disneyana, ma personalmente a me è parsa piuttosto logica e, nel complesso, efficace.
Così come efficace, ma ancora una volta poco sfruttata, è la scelta di utilizzare l’amico di sempre James Rhodes/ War Machine nelle vesti di Iron Patriot, simbolo della potenza americana (e non già dei suoi ideali ,i quali sono affidati, come sempre, a Steve/ Capitan America).
Se non volete cercare tanti sottotesti e metafore, ma godervi un paio d’ore di azione super eroica, non dovreste rimanere delusi. Visivamente ben fatto e coreografato nelle scene di combattimento, meno spigliato dei precedenti Marvel Movie ma molto lontano dalla pesantezza radical-chic involuta dei Batman di Nolan, “Iron Man 3” garantisce un ritmo incalzante grazie anche all’interpretazione di Robert Downey Jr. e Gwyneth Paltrow, che riescono a tenere viva l’attenzione anche nelle fasi più interlocutorie della storia.
E sì, c’è qualche falla logica e dei blooper vistosi (Pepper che viene avvolta dall’armatura nonostanze calzi un vistoso tacco 12 è solo uno dei tanti), ma non inficiano più di tanto il risultato complessivo… Anzi, per come è stato concepito il film sono addirittura funzionali alla storia.
Naturalmente, è imperativo rimanere fino alla fine dei lunghi -estenuanti- titoli di coda; non aspettatevi, come nei film precedenti, una sequenza che faccia da collante col prossimo film (“Thor: Dark World”) o che fornisca altri tasselli della “Fase 2” dei cinecomic Marvel, il cui inizio coincide proprio con IM3.
Confidate però che sarà un perfetto epilogo per la trilogia del Vendicatore Corazzato.
E, forse, una speranza per i tanti fans di qualcuno cui sarebbe ora di regalare una pellicola all’altezza.
Prima che si arrabbi.

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