domenica 7 novembre 2010

L'Illusionista


1959: la voce, roboante, annuncia l'inizio dello spettacolo. Ma il sipario non ne vuole sapere di aprirsi. Per placare il pubblico, viene mandato in tutta fretta sul palco Tatischeff, il grande illusionista. E le proteste si trasformano subito in applausi scroscianti, mentre l'allampanato prestigiatore si cimenta nel numero del mazzo di fiori dal fazzoletto e del coniglio (obeso) dal cilindro. Comincia così, con queste immagini in un rigoroso bianco e nero d'epoca,"L'Illusionista", il nuovo film di Sylvain Chomet, già autore dello spettacolare e poetico "Appuntamento a Belleville" del 2003.


Distribuito in Italia dalla Sacher di Nanni Moretti (e vergognosamente distribuito in un solo cinema nella zona di Milano & provincia; ricordatelo, la prossima volta che sentirete bondi parlare di salvaguardia della cultura), la seconda opera del regista francese è tratta da una sceneggiatura originale di Jacques Tatischeff, uno dei più noti artisti francesi, scomparso nel 1982. Non è dunque un caso che il protagonista di questo poetico, struggente film d'animazione classica (ricordatevelo, la prossima volta che un biNbominKia in pectore vi magnificherà le emozioni del treddì) sia proprio la versione animata del grande attore e regista francese, nè che Chomet abbia aggiunto alla versione originale alcuni elementi biografici ed omaggi, per celebrare tanto Tati stesso quanto una forma d'arte ormai irrimediabilmente perduta per sempre: quella del vaudeville, degli artisti che facevano del loro meglio per divertire e divertirsi col proprio pubblico, senza preoccuparsi troppo dell'incasso.

L'arte per l'arte, per appagare se stessi, anzichè per farsi la villa a Montecarlo. Ventriloqui, clown, illusionisti; come da loro si sia finiti alla feccia sboccata e priva di talento che impesta i palcoscenici televisivi, e da lì poi tracima in quelli teatrali, rimane un mistero. O forse no; forse la risposta è tutta in un pubblico sempre più svogliato, distratto, falsamente esigente, pronto ad urlare istericamente per la boy band del momento tanto quanto è indisponibile a concedere spazio ed attenzione ai grandi artisti del passato, destinati a pellegrinaggi interminabili per esibirsi in imbarazzanti feste all'aperto e bettole di terz'ordine.


Proprio in una di queste, un sempre più sconfortato Tatischeff incontrerà Alice, una ragazza talmente impressionata dai suoi trucchi da decidere di lasciare la sua vita di sguattera per seguirlo ad Edinburgo. Un rapporto delicato, il loro, fatto di gesti e sguardi, prima ancora che di parole. Sì, perchè a sottolineare ulteriormente l'incomunicabilità tra il protagonista, depositario di un passato fatto di onestà ed impegno, ed il nuovo che avanza, fatto di fenomeni "usa-e-getta", di fracasso e lustrini (emblematica, in questo senso, la sequenza con gli astri nascenti della musica rock, o quella con il juke box), il film è quasi completamente muto; pochi i dialoghi, sempre in lingua originale, con Alice che si esprime nel suo biascicato scozzese e Tatischeff in un francese essenziale, diretto, amichevole.


Poche parole, già, perchè a parlare sono i gesti. I sorrisi e le premure della ragazza per il vecchio Illusionista, nell'ingenua convinzione che egli sia davvero un mago come quello delle fiabe. I piccoli regali e sacrifici con cui lui ringrazia la sua imprevista compagna, capace col suo entusiasmo di restituirgli un minimo di fiducia in se stesso, di scopo. Una famiglia stravagante; lui, lei, il coniglio obeso ed irascibile, che non vuole saperne di starsene nel cilindro e non perde occasione per addentare chiunque si avvicini.

A suo modo, una famiglia felice (si ride non poco e di gusto, infatti), malgrado Tatischeff debba accettare lavori sempre più umilianti e fare i conti con la meschinità di individui che pensano solo al profitto. Forse credeva di potercela fare, il grande Illusionista, a sopravvivere al cinismo dilagante; forse pensava che il destino di tanti altri colleghi, a lui non sarebbe toccato. Almeno, non finchè Alice avrebbe creduto in lui. E fosse stato un film hollywoodiano, un happy end in questo senso sarebbe stato scontato. Nè ci sarebbero stati il ventriloquo sempre più attaccato alla bottiglia e sempre meno al suo pupazzo, oppure il clown che viene (inconsapevolmente) salvato dal suicidio da un piatto di spezzatino di coniglio (!!!!) preparato da Alice. O, se ci fossero stati, avrebbero avuto un ruolo molto diverso. Macchiettistico e consolatorio. Chomet, tuttavia, non mira a rassicurarci, men che meno pensa di cavarsela con un finale abborracciato.


Il destino è tutto lì, in quel pupazzo abbandonato nella vetrina di un robivecchi. Nel suo ex proprietario, costretto a chiedere l'elemosina. In quello sguardo casuale di Alice fuori dalla finestra della camere d'albergo che condivide con il suo padre putativo. Tanto poco basta a spezzare l'ultimo incantesimo dell'Illusionista; tanto poco a richiamarlo, duramente, alla realtà. In un impietoso gioco di contrasti, il destino compie il suo corso, ineluttabile, amaro, senza speranza. Sotto una pioggia sferzante, le strade si dividono, le luci si spengono; non rimane nemmeno più il tempo, o la voglia, per un'ultima magia. Tutto è finito, ma non le lacrime. Già; quando le luci in sala si sono riaccese, piangevo sulla spalla della mia compagna (da quanto mi tenevo dentro quelle lacrime? Se non ci fosse stata lei, per quanto ancora le avrei scioccamente tenute dentro di me?). Piangevo per Tatischeff, per il ventriloquo, il clown, Alice... ma soprattutto per il coniglio. Piangevo perchè sentivo, come mai prima d'ora, il peso di ciò che perdiamo ogni giorno, di ciò che quotidianamente buttiamo in quei cessi voraci che sono le nostre esistenze, scandite da ritmi frenetici e falsi modelli. Piangevo, e mi vergognavo un po' di me stesso. Anche ora, a ripensarci, qualche lacrima mi riga il volto, impedendomi di vedere lo schermo. E finalmente capisco. Questo è l'ultimo, grande prodigio dell'Illusionista; più ancora del coniglio dal cappello, riuscire a tirar fuori dei sentimenti così vivi e profondi da qualcuno. Fossi anche l'unico al mondo ad aver reagito così. La magia, dopotutto, esiste. Basta saperla vedere.


L'Illusionista- di Sylvain Chomet
Animazione, 80 minuti
Francia-Gran Bretagna 2010
Distribuito in Italia da Sacher
NON uscito in sala il 29 ottobre

-La frase del giorno: "La magia non esiste." (Tatischeff, nel suo biglietto d'addio ad Alice)

4 commenti:

  1. Cavoli dalla grafica fa tanto Broken Sword O_o hai presente quei videogiochi di punta e clicca bobby??? E' molto bella!! Anche la storia non deve essere male. Ma che ci vuoi fare per la distribuzione????? E' già tanto se lo hanno mostrato nella zona di Milano.

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  2. Eh già, se mi ha commosso fino alle lacrime "non deve essere male" no. Ma forse è stata la GRAFICA alla broken sword a colpirmi al cuore, ora che me lo fai notare -_-

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  3. :P Ho espresso solo il mio parere. Il fatto che abbia detto: "Non deve essere male", non è che voglia dire che lo ritenga un filmino eh!

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  4. Grazie per la recensione Bobby!
    Quando sarà disponibile per visioni casalinghe, me lo procurerò sicuramente :)

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