lunedì 4 ottobre 2010

Scusa (nti)

Quella santa donna di mia madre mi ha sempre insegnato che, quando si commette un torto nei confronti di qualcuno, è necessario scusarsi. Anche solo se si ha il vago sospetto di aver ferito una persona con una parola, un gesto, un atteggiamento. Con questo imprinting, si può ben capire perché fino a qualche tempo fa scusarmi per qualsiasi cosa fosse una delle mie attività preferite. Non essendo esattamente il massimo della diplomazia, conscio di avere fin troppo spesso la lingua più veloce del cervello (il che può essere tanto un bene quanto una dannazione), scusarmi mi veniva fin troppo semplice e naturale quando mi rendevo conto di aver offeso il mio interlocutore,o sospettavo di averlo fatto. Non vi dico l’angoscia quando, in tempi recenti, m’è capitato di avere a che fare con persone che hanno rispedito al mittente i miei atti di contrizione. Niente retorica esagerata: ci rimanevo proprio male, passavo ore ad arrovellarmi su cosa avessi fatto di tanto grave da non poter essere perdonato. Mi ci è voluto un po’ per rendermi conto di come stessero effettivamente le cose: in realtà le persone in questione pretendevano un altro tipo di scuse. Molto più difficili del classico “scusa”. Che non costa niente ed è facile da pronunciare. Da me si pretendeva che, compreso l’errore, non avessi a ripeterlo in futuro, sebbene fosse stato commesso per istinto e non per intima stronzaggine. Perché le scuse non servono a niente, se vengono usate solo per lavarsi la coscienza e non sono sincere. E non lo sono mai, se alle parole non seguono i fatti. Come sempre, ho dovuto constatare che avevano ragione loro. La riprova l’ho avuta qualche giorno fa, con l’ennesima sparata del cerebroleso bossi nei confronti dei romani. Seguite da scuse puntuali nel week end. Le ultime, in ordine di tempo, di una lunga serie di pentimenti tardivi e sentiti come poteva sentirci Beethoven. Solo quei quattro fessi del pd potevano cascarci (ed infatti hanno ritirato la mozione di sfiducia nei confronti del tangentaro leader della lega, convinti di averlo spaventato a morte. Mi raccomando, che nessuno li svegli), ma va detto che il senatùr è in buona compagnia. Chiunque ormai può fare qualunque cosa e chiedere candidamente “scusa” alla prima occasione mediaticamente utile. Magari a mezzo stampa. Magari dopo secoli, e non per modo di dire; basti pensare alle scuse della chiesa nei confronti di Galileo, subito rimangiate con l’arrivo di ratzy al seggio di pietro. Magari si chiede scusa per atti nei cofronti dei quali altri non otterrebero mai perdono. Così l’esercito amerDicano può mitragliare civili a piacimento e poi rammaricarsi pubblicamente, parlando di “errore umano”, “fuoco amico” (a questo punto meglio quello dei nemici, se non altro è meno ipocrita), “situazione contingente”. Insomma, “scusate-è-capitato”. Oppure: “scusate-ma-la-situazione-è-quella-che-è”. Ecco, peggio della scusa ad un soldo la dozzina c’è solo questa continua, forsennata ricerca della comprensione dell’altro, che porta a giustificare l’ingiustificabile. Capita così che persone vittime di abusi più o meno gravi, sia fisici che psicologici, si ritrovino a difendere il miserabile di turno con arringhe del tipo “eh, ma sai, è fatto così, urla, ti insulta, ti picchia, ma poi chiede scusa”. Consolante, pensi, mentre gli amici ti firmano il gesso, invitandoti ad essere clemente, comprensivo, superiore; vorrai mica scendere al suo livello, no? Certo che no. Ma se Akira Fudo ci ha insegnato una cosa, è che per sconfiggere un demone non devi essere un angelo; devi essere un diavolo peggiore di lui. Il che comporta anche, soprattutto, eliminare quella patina di buonismo comprensivo d’accatto che ci fa sentire tanto superiori, e cominciare chiamare le cose col loro nome, a voce alta. Senza pretendere scuse lì per lì, avendo ormai queste perso ogni significato, esattamente come ogni cosa di cui si abusa a cuor leggero. Sarebbe ora di cominciare a dire forte e chiaro cosa non ci piace e pretendere che chi ci sta di fronte, anziché scusarsi invocando la nostra comprensione, non si comporti mai più in quel determinato modo. Scaricandolo se il fattaccio dovesse ripetersi, mandandolo a quel paese se pretende di voler essere semplicemente perdonato senza alcuna garanzia per un impegno futuro. L’esistenza è già abbastanza complicata di suo senza doversi trascinare dietro ulteriori pesi morti, ed una risoluzione del genere aiuta molto a capire il valore di chi ci sta di fronte, il suo reale attaccamento nei nostri confronti. Sì, lo so, anche io ero piuttosto scettico su questo modo di rapportarsi al prossimo. Ma l’ho provato stando da entrambi i lati della barricata. E sapete che c’è? Funziona. Quindi, se vi fo uno sgarbo involontariamente e non mi scuso, non rimaneteci troppo male; significa che mi sto impegnando sul lungo periodo a non farlo di nuovo. Sempre che lo meritiate.

-La notizia del giorno: mi manca solo Giò Ronfo per finire la collezione!

-La frase del giorno: “Se serve mi scuso.” (m. gasparri, dopo aver implicitamente dato dell’assassino a napolitano durante la vergognosa vicenda di Eluana Englaro)

2 commenti:

  1. Eh bobby... in questa società di oggi si deve sempre prendere in esame un mucchio di cose prima di parlare =_='', purtroppo...

    RispondiElimina
  2. In questa società di oggi (come in quella di ieri) basterebbe giusto un po' di buonsenso, e verificare che il cervello sia collegato alla bocca prima di aprirla. Ma essendo i più sprovvisti di cervello....

    RispondiElimina

I più letti