mercoledì 1 settembre 2010

W. I. P. –“Andandara”

Come sapete, una delle mie regole è non scrivere mai di cose che abbiano a che fare con la realtà nuda e cruda. Il che non significa che ad essa non ci si possa ispirare. Così, se durante le ferie ho proseguito con la stesura de “La Rivolta Delle Tenebre”, ho trovato anche il tempo per buttar giù un racconto che mi frullava in testa da un po’, sebbene in maniera confusa e frammentaria. Come al solito, la scintilla è arrivata quando meno l’aspettavo sotto le mentite spoglie di un battagliero venditore porta a porta che voleva a tutti i costi entrare in casa per vendermi una copia del suo “giornale comunista”. Non nascondo che anch’io trovo seccanti queste persone, ma a meno che non siano troppo insistenti di solito cerco di trattarli con un minimo di cortesia, perché mi rendo conto che non deve essere piacevole nemmeno per loro svolgere un'attività del genere, dove è più facile portare a casa insulti che denaro. Così ho cercato di immedesimarmi in quel sanguigno spacciatore di “giornali comunisti”. Immaginare la rabbia e la delusione per i maltrattamenti e gli insulti non è cosa che richieda un particolare sforzo; né ci voleva chissà che per imbastire una trama dove, alla fine, lo sfortunato protagonista arriva nel classico, anonimo condominio il cui ventre cela orrori insospettabili. Il punto era: quali? Pe rispondere alla domanda, ho dovuto in parte ricorrere al fido quadernetto su cui appunto al volo le idee quando mi passano per la testa. Ed ho trovato un paio di righe, buttate giù di corsa almeno sei- sette mesi fa, che facevano proprio al caso mio. Mancava giusto un’ultima scintilla per far detonare il tutto. Arrivò appena dopo ferragosto. Faccio un salto all’edicola in paese, ed incappo in una coppia di anziani che mi fa accapponare la pelle. Sguaiati, chiacchieroni, del tutto incapaci di trattenere le risate o tacere il tempo necessario per permettere all’imbarazzato ed evidentemente infastidito edicolante di replicare ai loro non del tutto comprensibili lazzi. Che dietro di loro si fosse formata una certa fila non pareva turbarli minimanente, tant’è vero che ci hanno messo un bel po’ a levare le tende. Pochi giorni dopo, a passeggio col cane, passo accanto ad un capannello di persone non più giovani fermo ai margini della strada, a parlare sommessamente come cospiratori di questa e quell’altra, facendo saettare gli occhi qua e là, forse timorosi di essere ascoltati dal sottoscritto, più interessato a cogliere l’atmosfera cupa gravante sul manipolo. Fondere questi due aspetti, la bonomia forzata e scervellata con un comportamento più ambiguo, quasi massonico, non è stato particolarmente complicato; a questo punto, non rimaneva che mettersi alla tastiera e cominciare a raccontare una storia che può essere quella di chiunque, ambientata ovunque. Proprio per questo, ho scelto di non dare un nome ai protagonisti. La modifica del titolo originale, “porta a porta”, invece, sapete benissimo perché l’ho fatta: troppi riferimenti all’omonimo programma di rai uno, con inevitabile balzella a seguito. Così, per punizione, adesso vi tocca il titolo- scioglilingua, e nemmeno wikipedia vi verrà in aiuto per capire cosa significa. Ho controllato. Dovrete per forza aspettare la pubblicazione, se mai ci sarà. Oppure mettervi a vendere giornali giornali comunisti porta a porta.

-L’estratto del giorno:

“ Schiacciò il tasto luminoso col numero “4”, lasciandosi docilmente sollevare da motori e carrucole.
Durante il brevissimo tragitto cercò una definizione calzante per il fetore(sì,era proprio fetore)che si agitava come un’anima dannata appena sotto la superficie dell’altro.
Quando la cabina si arrestò e le porte interne si aprirono,non era ancora riuscito a trovarla.
Spalancò la seconda porta di sicurezza,scacciando quei pensieri assurdi (“sono davvero stanco”,si disse ridendo,una sorta di epitaffio scolpito sulla lapide di timori indefiniti prontamente sepolti)e si dispose a recitare la solita commedia.L’ascensore sboccava su un ampio pianerottolo.
Malgrado la finestra a ribalta delle scale fosse spalancata,regnava lo stesso miscuglio di odori che appestava l’atrio.Sentì il mal di testa farsi più opprimente,lo stomaco contorcersi.Poi li vide.
Uno stava sdraiato sul davanzale della finestra.Due pigramente abbandonati sugli scalini.
Un quarto era talmente vicino che,se avesse fatto un altro passo incauto,l’avrebbe schiacciato.
Istintivamente,indietreggiò,fino ad urtare con la schiena la porta dell’ascensore.
Otto paia di occhi affilati e brillanti lo seguirono.
Lo fissarono.
Lo studiarono.
-Gatti.-,mormorò,forse sperando che dichiarando la loro natura sarebbero scomparsi.Non accadde.
Continuarono a guardarlo,facendo oscillare le code e fremere impercettibilmente le vibrisse.
Un disagio fastidioso cominciò a pesargli nel petto.Per la prima volta si domandò se lo stabile non fosse abbandonato.No,impossibile.Non c’era traccia di decadenza o trascuratezza,cose che aveva imparato a riconoscere a colpo d’occhio.
A parte il gran numero di gatti(e l’odore),tutto era pulito ed in ordine.
E qualcuno gli aveva aperto,no?Sì,ma…a che piano abitava l’inquilino misericordioso?
Era così perso nell’autocommiserazione che non ricordava nemmeno(non sapeva nemmeno)quale campanello aveva suonato.A quel punto,poteva fare due sole cose.Scelse in fretta.
Scavalcò il gatto più vicino e si diresse alla porta di sinistra.
Cercò di leggere,per curiosità,il nome sulla targhetta di plastica subito sotto il tasto del campanello, ma non ci riuscì tanto era sbiadita. La cosa lo allarmò,ma non seppe spiegarsi il perché.
Perché ho bisogno di sapere che qui c’è qualcun altro oltre a me e…
Suonò.Un “Driiiiiin” garrulo,ovattato,echeggiò nel silenzio.Dopo una breve pausa,ne seguì un altro.
Quindi un terzo.Ma nessuno venne.Niente rumori al di là della porta che potessero far presagire la presenza di qualcuno nella casa.Silenzio totale.Non che fosse una novità.
Quante volte s’era trovato di fronte a case i cui inquilini erano tutti fuori?
Eppure,stavolta,quel silenzio lo atterrì...”

(da “Andandara”, di Bobby S. Pedersen. Copyright dell’Autore)

4 commenti:

  1. Posso venire a suonare il campanello? Però... aaaaaaaaaaaargh... il giornale comunista proprio no, eh!! ^^ Molto interessante l'inizio del racconto. Non si vede per niente che detesti i gatti! =P

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  2. Si vede più avanti,fidati ^^
    Comunque alla fine ho ulteriormente modificato il protagonista,facendolo diventare un "vu' cumprà" senza nome, in modo da renderlo idealmente l'archetipo di tutti coloro che ne condividono il destino di stenti e delusiono. Devo dire che questa tattica del personaggio assoluto nel suo anonimato mi intriga molto.... Grazie a Teresa per la dritta!^^

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  3. Bobby, ma la mia era una battuta ironica!! ^^

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  4. Ooooh grazie per la citazione! ^____^
    Devo dire che quando hai fatto entrare in scena i gatti ho sentito un brivido :)
    Intendiamoci, io amo i gatti, ma forse non tutti sanno che possono essere estremamente *territoriali*... soprattutto se sono semiselvatici... un incontro con un gatto incazzato non lo augurerei a nessuno (vabbe', a qualcuno sì ^____^)

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