domenica 6 settembre 2009

Pensavo fosse odio, invece ...

Sbrigate le mie faccende, prendo il treno per Milano. In bocca, ancora il sapore del pasto frugale consumato con un amico, un fratello, che non vedo da uno sproposito di tempo. Il solito complice clima di cameratismo maschile ha accompagnato le nostre chiacchiere e confidenze tra un boccone e l’ altro. Dentro di me, tuttavia, sono nervoso. Inquieto. Sto andando a vedere “Videocracy”, e so già che mi arrabbierò di fronte alle nefandezze che scorreranno sullo schermo. Niente che già non sappia; eppure ogni volta la sfrontatezza di taluni miserabili VIP mi fa ribollire il sangue. Sono quindi rassegnato ad avere il resto della giornata guastato irrimediabilmente mentre attraverso via Torino; fa caldo, ma l’ afa è sparita. Attorno a me, sfilano e mi sfiorano facce anonime, ognuna persa o presa nei propri affari. Le parole non mi toccano; i Motorhead, Julee Cruise e Lene Marlin mi isolano dal mondo finchè non raggiungo il cinema Eliseo. Apertura ore 14. 45. Sono in anticipo, come al solito. Rimugino ancora un po’ su ciò che mi aspetto di vedere, su come diverrò preda della solita, impotente collera una volta terminata la visione.Non penso ad altro mentre faccio il biglietto e mi accomodo nella sala “Scorsese” di questo multisala piccolo, sobrio, la cui unica pretesa è di essere confortevole; nulla concede allo sfarzo eccessivo e fastidioso. Un bel cinema di provincia conficcato a due passi dal Duomo. La sala si riempie per metà, ben oltre le mie aspettative. Non mancano alcuni spettatori vicini alla mia età, anche se sono una minoranza. Alle 15. 03 le luci si abbassano, spot e trailer cedono il passo ad un bianco/ nero sgranato dove improbabili conduttori presentano una sorta di gioco a quiz; ogni concorrente che, chiamando da casa, risponde esattamente alla domanda, fa sì che la casalinga reclutata alla bisogna (il cui volto è debitamente coperto da una maschera) si liberi di un capo di abbigliamento. Uno spogliarello goffo e sgraziato. E’ incredibile che sia cominciato tutto così, con questo embrione casereccio di TV commerciale trasmesso da un bar riadattato a studio televisivo. Un abile lavoro di montaggio traccia le debite assonanze tra questa trasmissione volgarotta ma a suo modo divertente e le indegne porcherie che oggi entrano ogni giorno nelle nostre case. Incredibile. Incredibile soprattutto, che in me non ci sia traccia di collera. Le immagini scorrono, e dentro di me si fa largo qualcos’ altro. Non so se esiste una parola esatta per definire questo sentimento. Credo che quella che più gli si avvicina sia “pena”. Pena per l’ ottusità sessista di Riccardo, che vuole sfondare in televisione a tutti i costi perchè “cosa devo fare, l’ operaio tutta la vita ?” ed odia le donne , “per loro è più facile, scendono a compromessi e così rubano il posto a noi ragazzi. “ Lui, Riccardo, non si venderebbe mai. A meno che non sia un ruolo di protagonista. Allora accetterebbe qualunque compromesso. Anche sessuale. Che pena. Che pena per la matrona cinquantenne che inscena uno spogliarello avvilente per sè e per chi abbia un minimo di dignità, sotto gli occhi ed i ghigni divertiti dei responsabili del casting. Le faremo sapere. Avanti un altro. Che pena. Che pena per lei, per le aspiranti letterine, che si sottopongono a provini umilianti per ritagliarsi un quarto d’ ora di celebrità, perchè “voglio sposare un calciatore”. Ed allora mostra i tatuaggi, dove ce li hai, girati, voltati, balla, alza i capelli. Manca solo che guardino loro i denti, come si faceva ai tempi dello schiavismo. Schiavismo, già. Non sono forse schiavi e schiave di futili, luccicanti desideri, pronte ad immolarsi a divini fantocci come Lele Mora (agghiacciante, ancor più delle suonerie fasciste del suo cellulare, lo sguardo da squilibrato che rivolge alla telecamera, uno sguardo che rivaleggia con quello di molti serial killer cinematrografici, e che batterebbe ai punti), a rendere omaggio al di lui figlioccio, quel Fabrizio Corona reso folle da un cinico desiderio di onnipotenza che non conosce regole e confini? Eppure anche loro non scatenano la mia rabbia. Sono incredulo. Forse ho persino paura che siano persone come queste a dettare l’ agenda in più campi di quanti non si creda. No, niente rabbia. Nemmeno quando compare lui. Col suo sorriso da squalo, i modi arroganti del signorotto feudale. Echeggiano risate amare nel sentire le sue uscite più autocelebrative; per divino contrappasso sono anche, sempre, le più imbarazzanti. Eppure, a dispetto di tutte le mie più fosche previsioni... niente rabbia. Solo una domanda: ma davvero siamo così ? Davvero abbiamo permesso tutto questo ? Davvero non c’ è via d’ uscita? Una volta tanto, la risposta arriva subito. Appena finito il film. La gente che si è indignata ed ha criticato, insultato sottovoce Corona, Mora, Riccardo e tutti quelli e quelle che pensano solo ad essere “cool” lascia la platea e già parla di giri alla Rinascente, in via Montenapoleone. Mi serve la matita per gli occhi, la giacca, c’ è una festa, devo essere al top. Viva l’ Italia, che si indigna per cinque minuti di quegli stessi vizi nei quali ricade subito dopo. Torno verso Cadorna; via Torino pullula di ragazzi e ragazze con magliette griffate, abiti alla moda che esaltano femminilità, virilità e status sociale. Già. La risposta è lì, in decine di persone tutte diverse e che allo sguardo paiono, anzi sono tutte uguali. Troniste e letterine in embrione. Nella mia tenuta nera, la sciarpa che ondeggia al ritmo dei mie passi, mi chiedo se lascio trasparire qualcosa di ciò che provo per loro. Prima sarebbe stata rabbia. Adesso è pena. Cerco il mio riflesso in una vetrina per scoprire se qualcosa di questo sentimento appare sul mio volto. In fondo, oggi basta questo.
Basta apparire.

-La notizia del giorno: Proteste dei precari della scuola in tutta Italia; molti, in segno di sfida, sono saliti sui tetti dei provveditorati. Soddisfatta mary star gelmini: “Come promesso, nessuno è rimasto in mezzo alla strada. “

-La frase del giorno: “Una brutta TV è sempre lo specchio di una mediocre realtà “.
(A. Guglielmi)

2 commenti:

  1. non basta far indignare la gente, bisogna agire nel concreto, pian piano, come le formichine; proporre uno stile di vita diverso: il nostro, se ci crediamo migliori o speriamo di avere qualcosa di utile da insegnare.
    siamo bigotti per tradizione e originali per moda, cosa ti puoi aspettare da noi italiani?

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  2. Solo il peggio. E non rimango mai deluso....

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